Stanleybet risponde all’avv. Sbordoni sul caso Biasci

 

(Jamma) “Abbiamo letto il pezzo dell’Avv. Sbordoni sulla sentenza Biasci pubblicato lo scorso 18 settembre con il piacere con cui si torna a visitare i luoghi della giovinezza. Non ci regalano nuove emozioni, ma appartengono al nostro vissuto e, in fondo, ci danno sicurezza. E, per rassicurare il lettore dell’immutabilità del paesaggio e del fatto che concessioni nazionali dei giochi sono cosa buona e giusta, l’Avv. Sbordoni è una garanzia. Tuttavia del caso Biasci siamo diretti interessati e parti, e alla tentazione di una replica “live” non abbiamo saputo resistere” è quanto scrive Fulvia Fusco, Stanleybet Group Marketing and Communication Director. “Come incipit, l’Avv. Sbordoni ci ricorda che la sentenza Biasci proclama compatibile con il diritto dell’Unione il modello concessorio italiano, anche accompagnato dall’obbligo fatto al titolare della concessione di dotarsi di un titolo autorizzatorio con finalità di controllo di ordine pubblico. Fin qui, nessuna obiezione, anche se si potrebbe dire che questo principio già risale alla sentenza Placanica del 2007. Tuttavia, il problema non è il sistema concessorio di per sé, ma le concrete modalità del suo funzionamento, in specie, se tutte le gare di attribuzione delle concessioni delle scommesse celebrate nella storia erano discriminatorie e contrarie al diritto dell’Unione e, ancor più in specie, se il target della discriminazione era e rimane il bookmaker britannico Stanley.

L’Avv. Sbordoni, però, si duole che la Corte di Giustizia non si sia fermata lì, perché ciò avrebbe risolto il “grande conflitto fra Stato-Concessionari da una parte e CTD dall’altra”. Siamo stati lusingati di vedere i nostri minuscoli, ma tenaci CTD, considerati temibili avversari di uno Stato sovrano e di un’ampia costellazione di grandi imprese di indiscutibile potenza di fuoco, ma volentieri concordiamo con l’affermazione dell’Avv. Sbordoni che la “schiacciante vittoria a favore dello Stato” non c’è stata. In assenza della “soluzione finale” (contrariamente ai desiderata dell’Avv. Sbordoni), guardiamo più da vicino la sentenza Biasci che, a dispetto della sua contenuta dimensione, è un prodotto giuridico sottile e complesso.

L’Avv. Sbordoni ne suggerisce una lettura depotenziata e vorrebbe degradarla a nulla più che “uno stimolo per il futuro del sistema italiano” di settore. Dissentiamo e, forti di qualche esperienza, crediamo invece che la sentenza Biasci contenga precetti di immediata fruibilità.

Ma l’Avv. Sbordoni non se ne avvede, salta tre anni a piè pari e “atterra” nel mondo delle fate del 2016, quando “scadranno tutte le concessioni terrestri” e il sistema dovrà essere “ridisegnato” – non già, si badi bene, per riallineare il quadro regolatorio alla realtà di un mercato che presenterà differenze siderali da quello odierno – e bensì, per evitare “errori banali (di chi?) che potrebbero essere censurati dalla Corte di Giustizia”. Che la mission del Supremo Giudice dell’Unione sia di dedicarsi a cose banali è una affermazione coraggiosa, di cui volentieri lasciamo la paternità al suo autore. Ma sinceramente fatichiamo a ravvisare la categoria della banalità in una linea coerente di “giurisprudenza Stanley”, che si è snodata nell’arco di un decennio (sentenza Gambelli del 2003, sentenza Placanica del 2007, sentenza Costa e Cifone del 2012 – e undici ordinanze coeve – e ora sentenza Biasci del 2013) nel tentativo di porre rimedio a una serie ininterrotta di illegalità, distorsioni e – ahimè – furbizie nazionali nella regolazione dei giochi che, non lo si scordi, rappresentano il terzo mercato nazionale per valore, dopo l’energia e l’automotive. E’ davvero, questa, una storia tutta italiana, e nessun altro Stato Membro può vantare un record comparabile di infrazioni pervicaci del diritto dell’Unione, a inossidabile protezione dell’industria nazionale e, a pari merito, a soddisfacimento degli insaziabili appetiti erariali.

L’articolo prosegue con un resoconto “à la carte” della sentenza, della quale si dice ciò che piace, e ciò che piace meno si tace. Fra ciò che viene rimosso, vi è però il pilastro portante della decisione, che la colloca in continuità logica con la precedente giurisprudenza “italiana” della Corte, e traduce la risposta data al giudice a quo in regole di diritto immediatamente applicabili. Stupisce che un conoscitore della materia come l’Avv. Sbordoni non si sia avveduto che il “cuore” della sentenza Biasci si trova nel punto 35, dove la Corte affronta la materia del contendere dinanzi al TAR Toscana remittente, quella della fruibilità o meno della giurisprudenza europea “Stanley” (e di quella assolutoria nazionale a valle di essa) da parte dei freeriders che, come l’operatore austriaco Goldbet, sono stati miracolati dalla lettura straordinariamente buonista del diritto vivente, data da una parte della Magistratura Penale.

Nel punto 35 la Corte avverte che l’equiparabilità fra le situazioni di fatto e di diritto di Stanley e di Goldbet non si trova affatto nell’ordinanza Pulignani, coeva della sentenza Costa e Cifone, e costituisce, invece, una mera constatazione della Corte di quanto riferito in quel caso dal giudice a quo. La Corte di Giustizia a sua volta ne riferisce come dato di fatto della causa principale, e non la fa propria. Sull’equiparabilità – o meno – fra Stanley e Goldbet la Corte di Giustizia non dice niente (né nell’ordinanza Pulignani, né nella sentenza Biasci che interpreta autenticamente la prima), e correttamente rinvia la questione ai giudici nazionali. Con la conseguenza che costoro dovranno di volta in volta “valutare il contesto fattuale e le conseguenze che derivano dalla … sentenza Costa e Cifone”. In altre parole, la sentenza Biasci non ha “sdoganato” i freeriders, e non ha aggiunto materia nuova al corpus della giurisprudenza europea di settore, della quale, però, opportunamente fornisce una mini-codificazione dedicata ai giudici e alle autorità italiane. Tutto il resto è wishful thinking.

D’altronde, non deve sorprendere che una pronunzia, lo si ripete, sofisticata e complessa come la sentenza Biasci possa essere di non agevole percezione da parte del grande pubblico, o si presti a variegate letture pro domo propria da parte dei numerosi attori dell’affollatissimo mercato (Stato, concessionari, operatori cross-border d’annata discriminati e freeriders successivi), la cui proliferazione è stata consentita da un governo improvvido e non imparziale del sistema. Era, quindi, in definitiva prevedibile che dalla sentenza Biasci tutti pretendano di aver ricevuto una benedizione o, almeno, un salvacondotto. Shakespearianamente, “As you like it”.

Stupisce, invece, che a questa suggestione si sia abbandonato anche il nostro valoroso contradditore che, affabulando sul “grande boom” prossimo venturo del 2016, perde di vista il mondo terreno del 2013, dove ciascuno continuerà a operare cercando di far valere i propri diritti, se ci sono e per quello che sono, ma dove il pieno diritto di cittadinanza nel sistema di Stanley è stato definitivamente riconosciuto e non è più seriamente discutibile” prosegue la dottoressa Fulco.

L’Avv. Sbordoni, ci duole dirlo, non ci è amico, e l’inimicizia offusca il giudizio. Ancor più offusca lo stile, laddove, ergendosi a novello censore, l’autore addebita al Parlamento italiano “strafalcioni normativi”, alla Corte di Giustizia e alla Corte di Cassazione (per tacere dei giudici di minor rango) “strafalcioni giudiziari” e alla società che mi onoro di rappresentare il ruolo di “baciata dalla sorte” per giovarsi delle “pieghe” (sic) tra gli “strafalcioni”. Ma la guerra continua, e anche dello stile dell’Avv. Sbordoni ci faremo una ragione” conclude.

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