Nel gennaio scorso il Consiglio dell’Agcom, il Consiglio dell’Autorità garante per la concorrenza e il mercato, ha adottato all’unanimità un’ingiunzione nei confronti della società Meta (l’impresa che controlla i servizi di rete sociale Facebook, Instagram e WhatsApp) per un importo pari a 750.000 euro. Motivo: la violazione del divieto di pubblicità del gioco d’azzardo sancito dal Decreto Dignità del 2018, che tra le altre cose prevede norme di contrasto alla ludopatia. Si trattava del primo provvedimento emanato dall’Autorità nei confronti di una piattaforma di social media per aver consentito la diffusione di contenuti in violazione del divieto.

Tra le motivazioni della sanzione il fatto che Meta consente di promuovere giochi con vincite in denaro a tutti i propri clienti business che si rivolgono al pubblico italiano, anche attraverso la targetizzazione delle inserzioni pubblicitarie.

Sarebbe emerso infatti che la società è responsabile per non aver previsto alcuna restrizione alla pubblicità di giochi con vincite in denaro nelle proprie condizioni generali, destinate al mercato italiano e relative alla promozione di beni e servizi a pagamento.

Nel giorni scorsi l’autorità ha sanzionato ulteriormente Facebook per non aver fornito chiarimenti su detta violazione. In particolare si contesta che la società è incorsa nella violazione dell’articolo 1, comma 30, della legge 249/1997 a norma del quale “I soggetti che non provvedono, nei termini e con le modalità prescritti, alla comunicazione dei documenti, dei dati e delle notizie richiesti dall’Autorità sono puniti con la sanzione amministrativa pecuniaria da lire un milione a lire duecento milioni irrogata dalla stessa Autorità” (enfasi aggiunta).

La società, infatti, ha risposto alla richiesta di informazioni ampiamente oltre il termine imposto alla stessa con nota del prot. n. 387353 del 7 ottobre 2022 (ossia 85 giorni dopo il termine ultimo consentito dall’Autorità) senza aver peraltro motivato in alcun modo tale ritardo. Con specifico riferimento poi alle informazioni trasmesse, come già precisato, le stesse risultano incomplete in quanto non è stato possibile identificare i soggetti utenti della piattaforma Facebook, titolari del contratto di sponsorizzazione afferente alle sponsorizzazioni già sanzionate in quanto in violazione dell’articolo 9 del decreto dignità. Tale condotta è tanto più grave in quanto non ha precluso la possibilità di procedere nei confronti degli autori dell’illecito accertato con la delibera n.422/22/CONS nella loro qualifica di committenti della pubblicità diffusa presso Facebook.

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