Il Consiglio di Stato ha pronunciato sentenza sul ricorso proposto da un concessionario contro l’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli (ADM) – ex Monopoli, Ministero dell’Economia e delle Finanze, per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio che aveva confermato il provvedimento sanzionatorio dell’ADM mediante il quale l’ADM aveva comminato una sanzione pecuniaria di euro 15.000 per l’inosservanza di cui all’art. 5 co. 2 lett. g) dell’atto integrativo della convenzione di concessione – (divieto di intermediazione per la raccolta di gioco a distanza nonché divieto di raccolta presso i luoghi fisici anche per tramite di soggetti terzi incaricati).

L’emanazione della determinazione da parte dell’ADM ha tratto origine da controlli effettuati dalla Guardia di Finanza, nel corso dei quali si era riscontrato presso uno degli esercizi commerciali con i quali erano stati stipulati appositi contratti la presenza di diverse postazioni telematiche dalle quali si sarebbe potuto accedere direttamente al portale del concessionario, in violazione della disposizione (art. 5, co. 2, lett. g) dell’atto integrativo della convenzione di concessione che prescrive il divieto di intermediazione per la raccolta di gioco a distanza nonché il divieto di raccolta presso i luoghi fisici anche per il tramite di soggetti terzi incaricati.

Il concessionario ha evidenziato al giudice di prime cure la sua estraneità rispetto alla titolarità delle apparecchiature rinvenute, l’avvenuta risoluzione, in via cautelativa, del contratto con il suddetto esercizio commerciale e l’assenza da parte sua di qualsiasi condotta contraria alla legge o al titolo.

Inoltre, stante comunque l’intervenuta irrogazione della sanzione, ha sostenuto l’illegittimità e la palese ingiustizia della stessa, che per non configurare in capo al concessionario un’ipotesi di responsabilità oggettiva avrebbe dovuto conseguire all’accertamento da parte dell’ADM non solo della sussistenza della violazione da parte dell’esercizio commerciale, ma, soprattutto, alla dimostrazione dell’inosservanza da parte del concessionario stesso degli obblighi di vigilanza e di effettuazione di periodici controlli ai fini della garanzia di rispetto della disciplina in materia e di quanto previsto dalla convenzione di concessione e dall’atto integrativo.

Il TAR adito ha ritenuto il ricorso ammissibile e procedibile, non essendo la sanzione stata versata né mai revocata. Nel merito, il ricorso però è stato respinto in quanto, ad avviso del giudice di prime cure:

– la convenzione accessoria alla concessione impone espressamente al concessionario di “svolgere l’attività di commercializzazione esclusivamente mediante il canale prescelto” (articolo 5, comma 2 lett. f) e, inoltre, di “osservare e/o far rispettare, nell’eventuale attività di promozione e diffusione dei giochi oggetto di convenzione, dei relativi contratti di conto di gioco e di rivendita della carta di ricarica, il divieto di intermediazione per la raccolta del gioco a distanza nonché il divieto di raccolta presso luoghi fisici, anche per il tramite di soggetti terzi incaricati, anche con apparecchiature che ne permettano la partecipazione telematica” (articolo 5, comma 2 lett. g);

– l’articolo 9 della convenzione dispone, poi, che “il concessionario è responsabile degli obblighi posti a suo carico. Il concessionario assume in proprio ogni responsabilità organizzativa, tecnica ed economica e di ogni altra natura, inerente l’esecuzione e la gestione delle attività e delle funzioni oggetto della concessione”.

– dalle suddette previsioni, argomenta il primo giudice, discende che la ricorrente ha assunto lo specifico obbligo di non svolgere alcuna attività di intermediazione per la raccolta del gioco e di limitare l’attività di commercializzazione esclusivamente al canale prescelto – ossia quello online – senza operare la raccolta del gioco presso luoghi fisici, neanche avvalendosi di apparecchiature che permettano la partecipazione telematica dei giocatori. Inoltre, la società si è impegnata a non svolgere tali attività neppure per il tramite di operatori facenti parte della propria filiera di gioco. Gli obblighi posti a carico della concessionaria trovano riscontro nella previsione dell’articolo 2, comma 2-bis, del decreto legge 25 marzo 2010, n. 40, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 maggio 2010, n. 73;

– la condotta accertata dalla Guardia di Finanza consisteva proprio in attività vietata in forza della convenzione e del richiamato decreto legge n. 40 del 2010. Rileva il primo giudice che, secondo quanto risulta dai verbali redatti all’esito delle operazioni svolte, nel locale in questione sono stati rinvenute “n. 5 postazioni con computer spenti” sui quali, dopo l’accensione “compariva la schermata del concessionario”, nonché un altro tavolo con 10 postazioni con computer anch’essi collegati con il concessionario, ma spenti; alcuni dei congegni reperiti “si presentavano come apparecchi da intrattenimento, ma, in realtà, erano pc collegati alla linea telefonica cosiddetti Totem” e apparivano “come già indirizzati esclusivamente a un sito che offre solo gioco” facente capo al concessionario. Gli elementi accertati hanno fatto emergere lo svolgimento della raccolta del gioco non semplicemente online, come previsto dalla concessione, bensì anche attraverso canali e modalità diverse e non consentite, ossia mettendo a disposizione dei giocatori, presso appositi locali, apparecchiature informatiche dotate di collegamento telematico per l’accesso al sito del concessionario, oppure svolgendo attività di intermediazione nella raccolta del gioco;

– quanto alla censura di illegittimità della sanzione in quanto le violazioni della disciplina in materia di raccolta del gioco sarebbero state addebitate alla ricorrente a titolo di responsabilità oggettiva, richiama il TAR la giurisprudenza prevalente che ha avuto occasione di sottolineare l’obbligo di vigilanza che grava sulla concessionaria in ordine alla garanzia del rispetto del quadro prescrittivo convenzionale. Tale obbligo, in particolare, impone al concessionario l’adozione di misure organizzative, tecniche ed economiche per l’esecuzione e la gestione delle attività e delle funzioni oggetto della concessione, affiancandone la previsione della relativa responsabilità, e si traduce nell’imposizione di un’obbligazione di garanzia e di controllo sull’andamento della concessione e sul suo svolgimento in conformità alle relative previsioni. Trattasi, quindi, secondo il primo giudice, di responsabilità connotata dal profilo della personalità, parametrata alla violazione degli obblighi di vigilanza e controllo che il concessionario deve porre in essere al fine di assicurare l’osservanza dei divieti che presidiano l’attività di raccolta del gioco a distanza, i quali si estendono anche ai soggetti riconducibili alla filiera del concessionario.

In sede di appello, sono stati dedotti i seguenti motivi:

-error in iudicando con riferimento all’interpretazione del divieto di intermediazione di scommessa che il concessionario è tenuto a far rispettare al promotore ed in ordine alla contestata “violazione e falsa applicazione dell’art.97 cost. violazione e falsa applicazione dell’art.5 comma 2 dell’atto integrativo. eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti e carenza istruttoria. eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e per carenza di motivazione, perplessità grave. eccesso di potere per sviamento”;

In particolare, la società appellante ha censurato la sentenza per non aver rilevato che l’accertamento interessante il PVR contrattualizzato con la medesima appellante, non consente di ravvisare una condotta contraria alla previsione dell’art. 5 comma 2 lettera g). Argomenta ulteriormente l’appellante che la condotta contestata all’esercizio commerciale interessato dal sopralluogo non consente neppure di ravvisare la violazione dell’art. 2, comma 2 bis del decreto legge 25 marzo 2010 n.40.

Richiamando in proposito l’orientamento, asseritamente diffuso, del giudice ordinario, l’appellante sostiene che la messa a disposizione di una piattaforma, aperta alla libera navigazione da parte degli utenti, non può. da sola, imputare alcuna responsabilità a carico dell’esercente, il quale non è in grado di impedire in anticipo e in maniera assoluta la navigazione verso i siti di gioco, né ha titolo per “filtrare” i contenuti o tanto meno per interrompere l’utilizzo della postazione internet con cui si fruisce di contenuti perfettamente leciti, non sussistendo alcun divieto, nell’ordinamento, di utilizzare una postazione pubblica di accesso ad Internet per collegarsi ad una piattaforma di gioco, poiché i vincoli del D.L. n. 40/2010 e della successiva legge n. 158/2012 riguardano postazioni collegate in modo permanente alla piattaforma del concessionario, non potendosi sottacere, peraltro, che l’attuale disciplina della riservatezza dei dati personali impedisce all’esercente di controllare l’attività del cliente durante la navigazione su Internet. Secondo l’appellante, dovrebbe soccorrere nel caso di specie un’interpretazione costituzionalmente orientata, dovendosi ritenere legittima la possibilità accordata agli avventori di usufruire in tali locali di computer per la navigazione su internet che consenta anche la possibilità per l’utente di accedere al proprio conto di gioco attivato con un concessionario per la raccolta a distanza di giochi pubblici, per scommettere in assenza di qualsivoglia intermediazione dell’esercente il punto. Lo stesso indirizzo ermeneutico dovrebbe essere applicato anche alle disposizioni convenzionali, come quella di cui all’art. all’art. 5, comma 2 lettera g). Il riferimento convenzionale al “divieto di raccolta presso luoghi fisici” impone all’interprete, insiste l’appellante, di verificare se l’utilizzo di apparecchiature che permettano la partecipazione telematica consenta in concreto di aggirare tale specifico divieto, circostanza che non può essere ravvisata laddove gli avventori accedano al loro personale conto di gioco e dispongano delle somme ivi presenti, senza avvalersi né dell’ausilio effettivo dell’esercente né di strumenti che consentano di giocare senza avere un proprio conto di gioco.

-error in iudicando con riferimento alla presunta violazione dell’obbligo di far rispettare ai promotori “il divieto di raccolta presso luoghi fisici, anche per tramite di soggetti terzi incaricati, anche con apparecchiature che ne permettono la partecipazione telematica”. eccesso di potere per errata valutazione dei presupposti e carenza istruttoria. eccesso di potere per violazione del principio di proporzionalità e per carenza di motivazione, perplessità grave. eccesso di potere per sviamento. violazione e falsa applicazione del decreto direttoriale 21 marzo 2006. violazione e falsa applicazione dell’art.2 comma 2 bis del decreto legge n.40 del 25 marzo 2010 convertito con legge n.73 del 22 maggio 2010. violazione e falsa applicazione dell’art.5 comma 2 lettera g) dell’atto integrativo.

Secondo l’appellante, anche se non era possibile rilevare gravi irregolarità nella condotta dell’esercente il PVR (…), va considerato che, apprese le contestazioni, il concessionario ha comunque risolto cautelativamente il contratto con l’esercente, impedendo in tal modo ogni eventuale perpetuazione della presunta attività illecita a suo danno, degli utenti e degli interessi pubblici. Di conseguenza, sarebbe del tutto insussistente ogni forma di responsabilità, anche in vigilando, dell’odierno appellante. Il giudice di primo grado, si sarebbe limitato ad affermazioni di principio, non esaminando le circostanze che consentirebbero di escludere che l’appellante abbia correttamente e scrupolosamente svolto l’attività di vigilanza prevista dalla convenzione di concessione, come la costante sensibilizzazione dei promotori legati alla sua rete commerciale con comunicazioni volte a ribadire il necessario rispetto dei divieti imposti dalla vigente normativa in materia di raccolta scommesse, persino avvalendosi di agenzie di investigazione le cui risultanze avevano determinato, anche in assenza di patenti violazioni di legge, la chiusura da parte della concessionaria di numerosi punti di commercializzazione che sono stati ritenuti non offrire le adeguate garanzie di correttezza e regolarità necessarie per far parte della rete commerciale facente capo all’appellante. Ne consegue, ad avviso dell’appellante, l’inadeguatezza e l’insufficienza della motivazione del provvedimento impugnato, tale da configurare nei fatti una responsabilità oggettiva per la sola commissione del fatto imputabile a terzi.

Nella sentenza si legge: “L’appello è infondato. Osserva il Collegio, preliminarmente, che le concessioni in materia di giochi contengono, in applicazione della pertinente disciplina normativa, disposizioni analitiche e rigorose che trovano il loro fondamento, tra l’altro, proprio nella relativa facilità con la quale potrebbero essere messe in atto condotte elusive, particolarmente rilevanti in un settore cui per evidenti e note ragioni di pubblico interesse si attribuisce significativa valenza sia con riferimento agli interessi dell’Erario sia, più in generale, per ragioni attinenti la tutela della sicurezza pubblica e di prevenzione e contrasto al fenomeno della ludopatia.

Il Collegio rileva poi, sul piano generale, profili di contraddizione nelle argomentazioni difensive nella misura in cui da una parte queste negano che si siano realizzati illeciti, dall’altra escludono un dovere specifico di controllo sugli esercenti, nei termini ritenuti cogenti dalla sentenza impugnata, e tuttavia, all’atto della contestazione delle Forze di polizia operanti, fanno presente che la concessionaria si è determinata successivamente per la risoluzione del rapporto. Tali profili di contraddittorietà come osservato da questa Sezione in occasione di analoghi contenziosi (Consiglio di Stato, Sezione VII, n. 7510/2022), appaiono significativi e rilevanti.

In particolare, quanto al primo motivo di appello, dal complesso degli atti di causa appare invero provata la violazione, da parte dell’appellante, del divieto di raccolta del gioco con modalità diverse da quelle autorizzate, nonché del divieto di intermediazione nella raccolta del gioco a distanza, non addebitabili unicamente ai gestori dei locali, che risultavano comunque connessi ai sistemi telematici dell’amministrazione appellante e potevano ricevere scommesse soltanto in quanto connessi con i suoi terminali.

In tal senso, appare puntuale il riferimento del giudice di prime cure alla rilevata violazione dell’art. 2, comma 2-bis del decreto legge n. 40/2010, per determinare l’illiceità dell’attività posta in essere dall’appellante, in quanto la stipula di un apposito contratto che consenta di promuovere il gioco in sedi diverse da quelle del concessionario non può in ogni caso porsi in contrasto con le chiare e tassative disposizioni dettate dalla richiamata normativa primaria (art. 2, co. 2-bis d.l. n.40/2010) e nelle stesse disposizioni della convenzione accessoria alla concessione espressamente richiamate dal primo giudice (art. 5, co.2, lett. f) e g) e art. 9).

Quanto al secondo motivo di appello, va pure condiviso quanto espressamente rilevato dal primo giudice circa la sussistenza dell’obbligo, a carico della concessionaria, alla luce di quanto previsto nella convenzione accessoria alla concessione, di assicurare l’osservanza dei divieti anche da parte di tutti gli operatori della propria filiera, determinandosi in capo a questa la piena responsabilità del comportamento di tali soggetti, non configurabile come una responsabilità oggettiva o per fatto altrui, bensì, alla luce delle norme richiamate, come responsabilità connotata dal profilo della personalità discendente dai diretti obblighi di vigilanza e di controllo, responsabilità evidentemente non attenuata dalla circostanza, verificatasi ex post, della risoluzione de contratto con l’operatore autore delle condotte contestate.

L’appello, pertanto, va rigettato”.

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