Il CdS, la Corte di Giustizia e l’avvento dei “New Incomers” di Stefano Sbordoni

(Jamma) Con il ricorso di primo grado veniva richiesto dalle società appellanti Stanley International Betting Limited e Stanley Malta Limited l’annullamento del bando di gara 2012/S 145-242654 pubblicato sulla GURI 5^ Serie Speciale – Contratti pubblici – n. 88 del 30 luglio 2012, per l’affidamento in concessione di 2.000 diritti per l’esercizio congiunto dei giochi pubblici ai sensi dell’art. 10, comma 9-octies, del decreto legge 2 marzo 2012 n. 16, convertito, con modificazioni, dalla legge 26 aprile 2012 n. 44, attraverso l’attivazione della rete fisica di negozi di gioco e la relativa conduzione, e di tutti agli atti a questo connessi, propedeutici e consequenziali.

Con riferimento al decreto legge n. 16 del 2012, (in applicazione del cui art. 10 commi 9 octies e 9 novies, era stata indetta la selezione impugnata) si lamentava il contrasto con le indicazioni contenute nelle note pronunce della Corte di Giustizia. Ad avviso dei bookmaker,  con la menzionata norma ed il successivo bando di gara erano state introdotte discriminazioni nei confronti dei nuovi candidati e potenziali operatori di gioco, avuto particolare riguardo alla durata delle nuove concessioni di soli 40 mesi, laddove le precedenti concessioni avevano avuto durata di 12 e 9 anni.  In tale modo precludendo ai potenziali nuovi candidati-concessionari  di ammortizzare i costi e gli investimenti sostenuti per l’ingresso sul mercato e permettendo ai vecchi concessionari di consolidare le proprie posizioni.

Il giudice di prime cure, id est il Tar Lazio, con la pronuncia n. 1884/2013 aveva dichiarato inammissibile il ricorso di primo grado, in quanto  l’appellante non aveva presentato domanda di partecipazione alla gara. Osservava il Tar Lazio che la lex specialis del bando di gara, ed il precetto normativo individuato con il decreto legge n. 16/12 convertito nella legge n. 44/12  avevano eliminato i limiti riferiti alle distanze tra gli esercizi (cfr Corte di Giustizia, sentenza Costa-Cifone) ed al numero di concessioni attribuibili. Inoltre: a) era stata fissata una base d’asta a livello normativo sensibilmente inferiore rispetto alle precedenti procedure; b) era stato dimezzato il numero di terminali da utilizzare; c) erano stati ridimensionati gli importi della cauzione provvisoria e di quella definitiva rispetto a quelli delle precedenti gare, parametrandoli alla diversa e minore durata dell’affidamento.

Dunque la durata delle nuove concessioni risultava congrua rispetto al ridotto importo di ciascun diritto. Per concludere sul punto, il primo giudice ha rimarcato che la prevista durata delle concessioni era funzionale all’obiettivo di allineare cronologicamente le loro scadenze (30 giugno 2016) a quelle delle convenzioni precedentemente stipulate (a quel 30 giugno 2016 cessavano le concessioni c.d. Bersani): i relativi negativi effetti erano contemperati appunto dal previsto affievolimento degli oneri gravanti sul partecipante, per cui nessun carattere discriminatorio poteva ravvisarsi in tale contenuta durata (del resto la giurisprudenza comunitaria richiedeva che la durata delle concessioni fosse fissata in modo tale da consentire di ammortizzare gli investimenti e remunerare i capitali impiegati, e ciò risultava pienamente realizzato).

Riferiva ancora il giudice di prime cure che “la affermata non utilità della partecipazione alla gara – come riferita all’immediata applicabilità delle previste cause di decadenza- , che avrebbe asseritamente legittimato l’immediata impugnazione dei relativi atti, pur in assenza di domanda di partecipazione, doveva invece ascriversi unicamente alla decisione delle appellanti di non dismettere, dopo l’eventuale aggiudicazione, la propria rete” (cfr pag. 28).

Quello che riferisce il Tar Lazio in primo grado corrisponde al vero. Unico obiettivo oramai conclamato è quello di contrastare sempre e comunque il sistema concessorio italiano per godere di una immunità che si vuole far discendere da un’interpretazione distorta e forzata delle pronunce della Corte di Giustizia, che il sistema non hanno mai censurato totalmente. Di questo è ben conscio il Consiglio di Stato che nell’analizzare l’apparato del sistema concessorio italiano, in tema di commercializzazione di gioco e scommesse riferisce come le misure adottate (concessione rilasciata da ADM e successiva autorizzazione) non siano discriminatorie ma  proporzionate, razionali, e non abnormi. Ed ancora il Collegio di Palazzo Spada nel menzionare la sentenza Placanica rileva che la pronuncia  “riconosce (….) che le libertà di stabilimento e di prestazione di servizi non sono state compresse a causa della previsione di un regime concessorio in quanto tale. Ciò perché tale regime è sostenuto da ragioni di ordine pubblico e sociale e può essere compatibile con quelle di libertà in quanto risulti rispondente ai principi di non discriminazione, di necessità e proporzione” (cfr pag 68 della sentenza non definitiva 2661/13 ).  Per il Collegio di Palazzo Spada, “una obiettiva lettura del diritto comunitario positivamente enunciato in sede giudiziale consente di affermare (…..)che: a) non risponde al vero l’affermazione assoluta secondo la quale nessuna nuova gara poteva essere bandita se non si fosse prima provveduto a revocare le concessioni in essere; b) non è condivisibile la tesi (…………..) secondo la quale, a tutto concedere, la nuova gara, per soddisfare le prescrizioni della sentenza Costa-Cifone, avrebbe dovuto contenere prescrizioni assi metriche tali da rimuovere “l’indebito vantaggio concorrenziale determinato dal fatto stesso che gli operatori esistenti abbiano potuto iniziare la propria attività alcuni anni prima degli operatori illegittimamente esclusi, ed abbiano cos’ potuto insediarsi sul mercato con una notorietà e con una clientela propria”; c) neppure è vero che il sistema concessorio italiano illegittimo, né che il gruppo Stanley, in quanto latore di pregressa discriminazione, possa sempre sottrarvisi: simile deroga vale se e fino a quanto la discriminazione non venga rimossa mercè gara depurata da vantaggi “ULTERIORI” per i concessionari in essere;” (cfr. pag. 75 della sentenza non definitiva 2661/13). Il CDS – che poi sposa le censure degli appellanti e riforma in parte la pronuncia di primo grado – ritiene che il diritto comunitario imponeva unicamente che la nuova gara, per essere reputata legittima non attribuisse “ulteriori” vantaggi ai soggetti già concessionari.  Gli ulteriori vantaggi per il tribunale amministrativo di secondo grado devono rinvenirsi in una sola  prescrizione “quella contenuta nel D.L. 2.3.2012 n. 16, ai commi 9 octies e 9 novies dell’art. 10, e finalizzati a realizzare “un primo allineamento temporale delle scadenze delle concessioni aventi ad oggetto la raccolta delle (…..)scommesse”in virtù della quale “in considerazioni della prossima scadenza di un gruppo di concessioni per la raccolta delle (….)scommesse la gara de qua è stata finalizzata all’attribuzione di concessioni con scadenza al 30 giugno 2016”. Ritiene a tal proposito il CDS che quando concorrano un operatore già presente ed uno esterno, la ridotta durata del rapporto aggiudicabile rischia di favorire colui il quale già gode di una organizzazione collaudata e che si giova di esperienza, know how ed investimenti pregressi non parimenti posseduti dall’aspirante extraneusal sistema.  Orbene, ritenere il noto bookmaker ricorrente extraneus al sistema italiano del gioco e delle scommesse è un’affermazione priva di qualsivoglia fondamento; è come voler affermare che il sole gira intorno alla terra e mettere al bando le affermazioni di Galilei. Il bookmaker ha il proprio mercato sin da prima dell’origine del sistema concessorio del settore scommesse, e grazie alla confusione creata intorno ad una sbavatura di leggi, trasformata in discriminazione e subita senza alcun effetto sostanziale (anzi..),  nel corso degli ultimi 15 anni ha potuto in pieno regime di concorrenza sleale offrire prodotti (si pensi solo alle scommesse virtuali ed al palinsesto libero) che ad oggi coloro che godono di una presunta situazione di vantaggio (tutta da provare peraltro) ancora non possono offrire. Il CDS dunque, ritenendo che la durata limitata delle nuove concessioni al 30 giugno 2016 sia in qualche modo in contrasto con i principi del Trattato della Comunità Europea, formula i seguenti quesiti:

A)        se gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del TFUE ed i principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella sentenza 16.02.2012 n. 72, vadano interpretati nel senso che essi ostano a che vengano poste in gara concessioni di durata inferiore a quelle in passato rilasciate, laddove la detta gara sia stata bandita al fine di rimediare alle conseguenze derivanti dall’illegittimità dell’esclusione di un certo numero di operatori dalle gare;

B)          se gli artt. 49 e segg. e 56 e segg. del TFUE ed i principi affermati dalla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, nella medesima sentenza 16.02.2012 n. 72, vadano interpretati nel senso che essi ostano a che l’esigenza di riordino del sistema attraverso un allineamento temporale delle scadenze delle concessioni costituisca giustificazione causale adeguata di una ridotta durata delle concessioni poste in gara rispetto alla durata dei rapporti concessori in passato attribuiti.”

Con questi quesiti si apre una nuova era di contenzioso dinanzi alla Corte di Giustizia, che non dovrà giudicare sulla legittimità del sistema concessorio ma sulla sua durata, rischiando di vanificare tutti gli investimenti fatti negli anni dagli operatori del settore e di aprire una falla per i veri new incomers.

In questa annosa e sfiancante vicenda, si è man mano perso il contatto con la realtà. Organi giudicanti nazionali e non, hanno sofisticato in punto di diritto ignorando le situazioni di fatto, quel fatto che dovrebbe esso generare il diritto e non viceversa. Ma il diritto e quindi le leggi che lo sostanziano (anzi, che lo dovrebbero sostanziare..) hanno in questa vicenda preso una strada tanto astratta quanto astrusa, rendendo vittime coloro che invece prosperano ben pasciuti, e portando all’inedia i presunti carnefici. Come se non bastasse, questo sofisticato incomprensibile e vizioso groviglio giudizial-normativo ha generato il mostro, che oggi si chiama anti-gioco e che in nome di un bieco moralismo ingoia tutto, salvo naturalmente i “discriminati”.

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