Ecco cosa emerge dal barometro eco-sociale a cura di Maurizio Ferrera, promosso da Fondazione Lottomatica

Gli italiani sono i più preoccupati in Europa in merito gli effetti che l’effetto serrapuò produrre sulle generazioni future. Inoltre, il 79% dei nostri connazionali dichiara di avere un buon grado di conoscenza in merito alla sfida del cambiamento climatico: più dei cittadini svedesi, spagnoli, francesi e inglesi ma meno dei tedeschi e dei polacchi, che sono in assoluto i più informati del Vecchio Continente. E, ancora, il 67% degli italiani ha avuto esperienza diretta nel proprio quartiere degli effetti del mutamento climatico negli ultimi dodici mesi. La quasi totalità degli intervistati (il 94%) dichiara di fare la raccolta differenziata, il 74% di risparmiare sul consumo di acqua e di energia, il 46% di scegliere modalità di viaggio e trasporto rispettose dell’ambiente e, infine, il 45% di privilegiare cibi e vestiti con etichetta verde. A far paura sono, soprattutto, la questione energetica (97%) e i suoi possibili effetti sulla sicurezza occupazionale ed economica delle famiglie (67%).

Si tratta di alcuni dei dati principali che emergono dal report dal titolo “Gli italiani e il mutamento climatico: un barometro eco-sociale”, scritto dal professore ordinario di Scienza politica all’l’Università Statale di Milano, Scientific Supervisor del Laboratorio di ricerca e informazione Percorsi di secondo welfare ed editorialista del Corriere della Sera, Maurizio Ferrera e promosso da Fondazione Lottomatica. Il report approfondisce il tema della conoscenza e delle percezioni degli italiani sul mutamento climatico e le conseguenze che ne derivano a livello sociale, economico e politico. La ricerca parte da un sondaggio inedito svolto a livello europeo da YouGov su un campione di 1.500 persone per Paese, per un totale di 7 Nazioni complessive (oltre all’Italia, anche Francia, Germania, Polonia, Regno Unito, Spagna e Svezia).

Dal paper emerge come gli italiani si aspettino che lo stato intervenga per sussidiare i costi delle famiglie, in particolare per l’efficientamento energetico degli edifici. Vi è anche una buona disponibilità ad accettare regolamentazioni che introducano una serie di limiti e restrizioni in tal senso.

Il sondaggio ha posto anche una domanda sull’energia nucleare, che in passato aveva sollevato in molti Paesi mobilitazioni di protesta. Sorprendentemente, tranne che in Spagna, l’opinione pubblica tende a essere abbastanza favorevole a investire nelle centrali nucleari, anche se con un margine piuttosto stretto in Italia e Germania. Da noi il favore nei confronti dell’energia nucleare tende a essere più elevato fra i maschi, i giovani, chi vive nel Nord Ovest, chi lavora nel terziario avanzato, i pensionati e i redditi più alti.

Per quanto si auspichi che sostenibilità ambientale e crescita economica siano fra loro compatibili e persino sinergiche, fra i due obiettivi possono crearsi però tensioni, almeno nel medio periodo. “Il trade-off tra protezione dell’ambiente e crescita economica è in larga parte mediato da un terzo fattore: il welfare”, ha commentato Ferrera, che poi ha aggiunto: “Nel dibattito scientifico si parla di trilemma eco-sociale, ossia la difficoltà di conciliare contemporaneamente gli obiettivi di crescita economica, quelli relativi alla transizione verde e, infine, quelli relativi alla solidarietà sociale”. In questo senso, il 17,8% della popolazione italiana si dichiara favorevole alla transizione anche a costo di un po’ meno crescita, basta che non si tocchi il welfare. Il 14,7%, invece, è a favore di crescita e welfare anche se ciò possa significare meno sostenibilità ambientale. La terza via, quella meno preferita, che raccoglie i consensi solo del 9% degli italiani, mira a conciliare sostenibilità ambientale e sviluppo economico, anche se ciò dovesse comportare qualche rinuncia in termini di protezione sociale.

Com’è ovvio che sia, i ceti più vulnerabili si sentono più minacciati dalla transizione verde e sono altresì i più preoccupati che le sue implicazioni possano comportare ulteriori rischi in termini di crescita, lavoro e reddito. Al contrario, chi è meno spaventato e più a favore della transizione verde mostra maggiore disponibilità a ridurre il vecchio welfare. Ma il tipo di prestazioni rispetto a cui si acconsentirebbe a qualche taglio sono le prestazioni di disoccupazione: proprio il tipo di taglio che colpirebbe soprattutto le persone più vulnerabili. “Ciò potrebbe rendere più probabile l’emergenza nel nostro Paese di un inedito conflitto eco-sociale”, ha affermato ancora Ferrera, secondo cui “data la posta in gioco (l’imperativo di neutralizzare il cambiamento climatico), una classe politica responsabile dovrebbe sforzarsi di evitare questo scenario”. Le divisioni esistenti all’interno dell’opinione pubblica – ha continuato il professore – “sono importanti, ma anche relativamente malleabili: contano molto i segnali trasmessi dai policy makers”. Dunque – ha concluso Ferrera – vi sono tutti “i margini per gestire la transizione energetica e rendere l’Italia più eco-sostenibile, ma certo, occorrerà tener conto dei vincoli sociali e della domanda di protezione”.

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