Le misure lecite per combattere il gioco illecito. Di Stefano Sbordoni

Clamoroso, per la Corte di Cassazione è lecito giocare nel PDC

 

(Jamma) Nei giorni scorsi si è gridata vittoria da più parti, inopinatamente. Una sentenza della Cassazione penale ha emozionato chi si serve della rete di raccolta diffusa del gioco on line, ed ha fatto grattare il capo agli integralisti. Con la sentenza del 31 maggio 2013 della Corte di Cassazione, i giudici di p.zza Cavour sono stati chiamati di nuovo a decidere se è lecita l’attività di promozione del gioco pubblico on line, da parte di un operatore munito di licenza rilasciata da ADM, presso un esercizio commerciale. Il caso nasce da un sequestro presso un punto di commercializzazione (c.d. pdc) che, in base al decreto legge n. 40/10, convertito con integrazioni e modificazioni dalla legge n. 73/10, invocato dagli agenti di pubblica sicurezza procedenti, non avrebbe potuto raccogliere gioco pubblico ma limitarsi a promuovere attraverso la distribuzione dei contratti di conto di gioco e la vendita di ricariche del concessionario e/o dei concessionari con i quali aveva sottoscritto un contratto. Per la Suprema Corte, richiamando un consolidato indirizzo (sez. 3, n. 26912 del 5/05/2009 dep. 1/07/2009 RU 2444240, 21.1.2010 n. 8737) “deve ritenersi ammessa la presenza presso i centri di commercializzazione di apparecchiature telematiche per l’inoltro delle scommesse al concessionario senza che ciò di per sé solo integri un esercizio abusivo del gioco in assenza di autorizzazione; si ritiene difatti che l’attività di commercializzazione dei giochi non debba consistere solo nell’attività di promozione dei prodotti di gioco e nella rivendita di ricariche ma può essere estesa anche alla messa a disposizione dei clienti di postazioni di gioco a condizioni che siano utilizzate solo dai medesimi senza alcuna ingerenza ed assistenza da parte del gestore del punto vendita che non può avere accesso al conto gioco del cliente” (Sentenza n 23640 del 31 maggio 2013). La stessa Corte osserva poi, come la presenza di dette postazioni utili a consentire il gioco in difetto della licenza di cui all’art. 88 TULPS non possa essere di per se’ considerata elemento identificativo di illecita intermediazione, in quanto “depone in tal senso la sussistenza di un rapporto diretto tra lo scommettitore e concessionario di un utilizzo diretto da parte del primo dell’apparecchio telematico ai fini della trasmissione di gioco mediante l’apertura di un conto scommesse personale sul quale opera quel giocatore instaurando un rapporto diretto con il concessionario”. I fatti che hanno dato vita al giudizio di legittimità risalgono al 2010, quindi, come la Corte di Giustizia con i precedenti illustri di Placanica e Cifone insegna, si deve tener fede alla normativa in vigore all’epoca dei fatti.

Sebbene facciano riferimento ad una presunta fattispecie delittuosa maturata quanto ancora era in vigore il decreto direttoriale del 21 marzo 2006 (e successive modifiche ed integrazioni) oggi abrogato, ed il Legislatore non aveva introdotto il bizzarro Decreto Balduzzi, i tre principi espressi dalla Corte di Cassazione con il giudizio che si è appena concluso, sembrerebbero quanto mai attuali, e non certamente superate le problematiche che ne discendono. All’interno dei pdc, secondo la Cassazione (che si possono anche chiamare punto di sponsorizzazione o di promozione del gioco pubblico), è lecito: 1) distribuire contratti di conto di gioco; 2) vendere ricariche; 3) mettere a disposizione apparecchiature telematiche per l’avventore dell’esercizio commerciale senza che l’esercente si intrometta nel rapporto tra il giocatore-scommettitore e concessionario. Quest’ultimo passaggio sembrerebbe stridere con quanto previsto dal recente decreto c.d. Balduzzi. L’art. 7, comma 3 quater del decreto-legge 13 settembre 2012 n. 158 convertito con modificazioni dalla legge 8 novembre 2012 n. 189 stabilisce che “fatte salve le sanzioni previste nei confronti di chiunque eserciti illecitamente attività di offerta di giochi con vincita in denaro, è vietata la messa a disposizione presso qualsiasi pubblico esercizio, di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari on line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza ovvero da soggetti privi di qualsivoglia titolo concessorio o autorizzatorio rilasciato dalle competenti Autorità”. L’interpretazione di questa norma non è di pronta soluzione.

In primis ci lascia perplessi proprio il Legislatore, che riconosce in qualche modo l’esistenza dei ctd accomunandone la posizione con quella degli operatori legali che commercializzano il gioco pubblico in canali leciti. Non si comprende con chiarezza poi quale sia l’attività vietata, e soprattutto quale sia l’apparato sanzionatorio specifico. Generalmente ad un divieto corrisponde una sanzione. Il nostro Legislatore nel caso del decreto Balduzzi sembra essersi limitato ad individuare il divieto senza andare oltre, con tutte le conseguenze del caso. Ecco perché la disposizione del decreto Balduzzi – nella parte che qui ci interessa – andrebbe rivisitata magari in toto o parzialmente. Peraltro gli stessi enti locali (Province e Comuni) promuovono aree WI FI. Recentemente l’Autorità Garante della Protezione dei dati personali, (febbraio 2013) nell’ambito di una risposta ad un parere richiesto dalla FIPE, ha confermato che gli esercenti pubblici possono mettere liberamente a disposizione degli utenti la connessione wi-fi ed eventualmente Pc e terminali di qualsiasi tipo. Il Garante della Privacy ha infatti ribadito che questo caso rientra fra quelli in cui non può essere effettuato il trattamento dei dati personali senza necessità del consenso del soggetto interessato, in base all’art. 24 del Codice della Privacy (Decreto Legislativo n. 196/03 e successive modifiche ed integrazioni). Il voler limitare in assoluto l’installazione di apparecchiature telematiche all’interno degli esercizi commerciali nell’epoca del WI FI libero è piuttosto contraddittorio: per alcuni addirittura una chiara violazione dei principi costituzionali che hanno come cardine la libertà dell’Uomo. Ecco che la recente pronuncia della Corte di Cassazione potrebbe essere proprio l’occasione per mettere il punto e riscrivere il famigerato decreto direttoriale del 21 marzo, mandato in pensione senza essere sostituito.

Questa vacatio regolamentare ha di fatto creato degli squilibri all’interno della rete lecita a vantaggio dei soliti CTD che se ne servono per ottenere successi giudiziari. Del resto nella recente pronuncia dei giudici di P.zza Cavour sono state individuate quelle caratteristiche lecite dei punti di promozione. La ratio del divieto – fermo ed inalterato quello assoluto dell’intermediazione – è di non permettere la creazione di agenzie di fatto, che senza aver passato le dovute griglie burocratiche (gara, licenza di polizia, etcc) poste a tutela di tutti, possano esercitare la raccolta di scommesse (e/o gioco pubblico) sul territorio. Ed anche quella (a nostro avviso secondaria, ed oggi poco popolare..) di non creare confusione con gli apparecchi da intrattenimento ex att 110 TULPS. Un censimento con autorizzazione preventiva avrebbe potuto aiutare, così come un’estensione magari onerosa ai concessionari delle loro prerogative. Da valutare anche una estensione alle autorità locali della loro potestà sanzionatoria diretta, che convoglierebbe le esigenze di controllo del territorio, limitazione di offerta e ..di cassa. Occorre insomma una riflessione che, ribadendo il concetto della separazione dei canali di raccolta in modo chiaro ed intellegibile, tenga atto di questi principi per gettare le fondamenta del nuovo regolamento per la promozione del gioco on line pubblico e lecito. Che potrebbe peraltro costituire adeguato strumento in dotazione ai concessionari per combattere contro i CTD.

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