Il federalismo ludico. Di Stefano Sbordoni

(Jamma) I paradossi del nostro sistema normativo/regolamentare sono tanti. Tra questi spicca il nuovo Titolo V della Costituzione, la più classica delle vittorie di Pirro per chi la ottenne all’epoca. Da quella scellerata riforma è infatti derivata una duplicazione di costi mastodondica tra Stato centrale e Regioni, che – per assurdo – è proprio quella che ad oggi giustifica l’esistenza di queste ultime. La regola non scritta dice che chi ha più debiti viene tenuto in vita, chi ne ha pochi, perseguito. Ed ecco che per rincorrere fatiscenti pareggi di bilancio questi enti, nati come territoriali e divenuti di fatto sovrani, rincorrono senza tregua nuove competenze da sottrarre allo Stato centrale, tali da consentire loro ulteriori entrate e ragioni di vita. L’ultima trovata è quella di appropriarsi del settore del gioco e delle scommesse, anche qui in spregio ai dettami costituzionali.

I presupposti di questi progetti espansivi delle Regioni poggiano spesso su situazioni di fatto effettivamente sensibili, o su cui lo Stato non è reattivo, di certo mediaticamente apprezzabili, che fanno audience, in altri termini. Quello del gioco poi, divenuto di botto il più trattato problema del paese (pare che il numero di interventi di parlamentari ed esponenti pubblici locali con relativi pogetti di legge, di regolamenti, emendamenti etcc, superi di gran lunga quello dedicato ad ogni altra materia: questo ci terrorizza!) suscita così tanto consenso che nessuno si azzarda a parlarne se non in negativo spinto. Di talché, di fronte all’ingerenza normativa delle Regioni, la Presidenza del Consiglio ha ben pensato di non porre la questione di costituzionalità. Per carità, ognuno fa i propri conti in casa e si regola di conseguenza. Sta di fatto che se oggi è il gioco, domani cosa sarà? Ossia, se si nasconde la testa nella sabbia per la fragilità dell’esecutivo (ed effettivamente con la mozione sulla moratoria delle concessioni alcuni hanno già provato a far cadere il governo utilizzando il tema sensibile “gioco”) si rischia una espropriazione di competenze a favore degli enti territoriali con inversione di quel principio di sussidiarietà che invece tanto invochiamo nei confronti dell’Europa. Tutto ciò non vuole assolutamente negare, ma anzi esaltare il ruolo che i veri enti territoriali, e cioè i Comuni possono svolgere meglio per i cittadini, anche e sopratutto nel settore del gioco pubblico. Questo non vuol dire che vi sia all’improvviso competenza diffusa ad istituire nuovi casinò. Secondo alcuni da ciò nasce un movimento trasversale che esalta la campagna di delegittimazione mediatica in essere del settore per ottenere questo risultato, con i relativi interessi coinvolti). Est modus in rebus. L’interlocuzione dell’ANCI ed il fatto che il ministro Del Rio ne sia stato il presidente storico, è fondamentale nella rifondazione della organizzazione del gioco a terra, certo coadiuvata dalle imprescindibili competenze del settore, e da quelle formatesi con fatica negli anni, degli enti regolatori competenti in materia. Come sempre in tutte le cose – ma non tutti ahimè sono d’accordo – bisogna lavorare, e lavorare sodo, approfondendo e valutando ogni singolo aspetto di un progetto sensato che riveda il fenomeno gioco alla luce del territorio, dello sviluppo sociologico del paese a medio termine, di quello tecnologico dell’offerta sia nazionale che mondiale. Senza farsi trascinare in una lotta di religione (sic!) che rischierebbe solo di creare spazi di impunità per chi è più spregiudicato.

Articolo precedenteCasinò. Crisi case da gioco dovuta anche al deficit gestionale delle proprietà
Articolo successivoSanatoria slot. Baretta (Mef): “Conti in corso, c’è rischio che scatti la clausola di salvaguardia”