Astro: Se il gioco “non autorizzato” non è perseguibile, che senso ha l’attuale sistema?

(Jamma) Nelle scorse giornate si è più volte evidenziato l’impatto del gioco “non autorizzato” sul sistema industriale governato dall’Amministrazione Finanziaria, ravvisandone una estensione tale da poter essere valutato oramai come circuito – a tutti gli effetti – parallelo.

Sino a qualche tempo fa si poteva – si legge in una nota dell’associazione Astro – argomentare che “non autorizzato” equivaleva” a “illegale”: si riponeva fiducia sulla tesi relativa al “costo” della legalità, che diventa infruttifero e improduttivo, laddove non accompagnato da una istituzionale campagna a tutela del circuito autorizzato, premiante e incentivante, invece, se assistito da un efficace tentativo di smantellamento della concorrenza commerciale perpetrata dai servizi di gioco che stanno al di fuori delle autorizzazioni.

Oggi, da una corretta e compiuta disamina, è meglio non avventurarsi in facili accostamenti terminologici, in quanto anche il “Prodotto non autorizzato”, e persino quello “appositamente sanzionato” a causa della sua autorizzazione mancante, può finire per essere “assolto” da qualche giudice, in applicazione (giusta o sbagliata non importa) di una complessiva normativa che, oggettivamente, sta consentendo quei margini di aleatorietà interpretativa da cui discende la possibilità di trasformare in “non perseguibile” (ovvero “quasi” lecito benché non del tutto lecito, un po’ come accadeva per i videopoker degli anni ’90) ciò che sta fuori dal contesto autorizzato.

Come già accaduto negli anni ’90, quindi, l’industria del “non autorizzato difficilmente perseguibile” si evolve, si espande, indebolisce il gioco legale che paga le tasse vere, e prima o poi si presenterà con la forza dei suoi numeri per “pretendere” la conversione del suo status da anarchico a “riconosciuto e regolamentato”, mettendo sul piatto della povera bilancia statale una forza finanziaria derivante da anni di “risparmio di imposta”.

I Centri di scommesse non autorizzati crescono come funghi, e per ognuno che se ne chiude (con conseguenze penali a carico dei tenutari al limite dell’inesistente, oltre a ripercussioni fiscali e amministrative irrisorie per i nulla tenenti che vengono selezionati come responsabili dei punti vendita), ne spuntano due nuovi.

“Soluzioni tecnologiche” per offrire gioco on line non autorizzato su base terrestre nei bar si affermano ogni giorno di più, e non sono più un derivato di “pittoresca illegalità di bottega”, ma costituiscono pianificazioni di business per gruppi industriali stranieri che – iniziando dalle nostre regioni di confine – stanno entrando nel mercato italiano “fagocitando” proprio quella “piccola illegalità di quartiere” a cui si era abituati a convivere per la sua estrema marginalità di azione e di forza commerciale.

Un “Totem promogames”, un centro scommesse privo di concessione, sono realtà che possono anche rivelarsi “infruttifere” (o comunque di esiguo impatto) in certi contesti; eppure quando vengono “aggrediti” da un sequestro o da una sanzione, “fanno muovere” circuiti di assistenza e patrocinio simili a quelli che connotano la tutela di una vera industria.

Al cospetto di tutto ciò, l’industria del gioco lecito si presenta nel suo rinnovato e non più sopportabile “status” di “cornuto” e “mazziato”, ovvero di “tradito” da uno Stato che dimentica ciò che “ha preso” dal gioco legale, dipingendolo come arma chimica distruttiva del tessuto sociale del Paese, nonché “perseguitato” dalla bramosia di “vendetta fiscale” innescata dalla campagna mediatica.

Qualche “scanzonato” commentatore potrebbe limitarsi a collocare il tutto nell’antico adagio secondo il quale, in Italia, chi ruba una mela va in galera, mentre chi si appropria di un miliardo fa carriera. A parte il “qualunquismo” (che comunque ha oramai diritto di cittadinanza ufficiale nell’ambito del più ampio contesto del disfattismo), chi fa industria deve porsi il problema di come “tutelare” il costo che sostiene per lavorare nei soli limiti dell’”autorizzato”. In altri settori si è orami pensato di abbandonare l’obiettivo della tutela a favore nel solo “ammortamento” dello stesso (abbassando il costo del lavoro, esternalizzando fuori confine la produzione effettiva, investendo nella consulenza fiscale per i rapporti estero su estero, ri-negoziando al ribasso oneri concessori per servizi e opere pubbliche).

Il gioco lecito non ha questi strumenti, per il semplice fatto che “il portafoglio” dei prodotti autorizzati è in capo all’Amministrazione Finanziaria. E’ questo il contesto che sta rendendo paludoso il terreno in cui l’industria del gioco lecito si ritrova costruita, e che ne sta agevolando l’inevitabile sprofondamento.

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