Slot, per il Tar è legittimo il provvedimento del Comune che impone la rimozione delle slot dal bar vicino a un “luogo sensibile”

 

(Jamma) E’ legittimo il provvedimento del Sindaco di Bressanone che “si è limitato ad applicare le disposizioni provinciali” in merito alla regolamentazione delle slot “ che prevedono, in caso di violazione dell’ordine di rimozione, uno specifico iter amministrativo”. E’ quanto si legge nella sentenza emessa dal Tar di Bolzano in riferimento al ricorso presentato dal un bar di Bressanone al quale è stato imposto di rimuovere le slot in quanto risultante essere vicino ad un luogo sensibile.

 

Di seguito il testo integrale del dispositivo:

 

FATTO

Sono impugnati gli atti indicati, in forza dei quali è stato ordinato all’odierno ricorrente, titolare dell’omonima impresa individuale all’insegna “Bar XXXX”, di rimuovere dal locale, entro il 15 dicembre 2012, gli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, dopo aver preso atto che l’esercizio pubblico “Bar XXXX” è ubicato in una zona sensibile, cioè nel raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio – assistenziale.

A fondamento del ricorso sono stati dedotti i seguenti motivi:

1. “Violazione di legge (art. 110 TULPS; art. 14-bis D.P.R. n. 640 del 1972, e s.m.i.; art. 1, comma 82, Legge n. 220 del 2010, e s.m.i.). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Eccesso di potere per carenza di istruttoria. Questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della L.P. n. 17 del 2012, per violazione dell’art. 117, comma 2, lettera h) Cost. e dello Statuto speciale di autonomia per il Trentino – Alto Adige. Illegittimità in via derivata e consequenziale”;

2. “Violazione di legge (art. 7, comma 10, D.L. n. 158 del 2012, conv. nella Legge n. 189 del 2012; Art. 8 D. Lgs. n. 281 del 1997). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della L.P. n. 17 del 2012, per violazione degli artt. 114, 117 e 118 Cost. e dello Statuto speciale di autonomia per il Trentino – Alto Adige. Illegittimità in via derivata e consequenziale”;

3. “Violazione di legge (art. 7, comma 10, D.L. n. 158 del 2012, conv. nella Legge n. 189 del 2012; Art. 8 D.Lgs. n. 281 del 1997). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Questione di legittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della L.P. n. 17 del 2012, per violazione degli artt. 41 e 117, comma 2, lettera e) Cost. Illegittimità in via derivata e consequenziale”;

4. ”Violazione di legge (art. 1 Legge n. 241 del 1990). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Questione di legittimità costituzionale della L.P. n. 17 del 2012 per violazione degli artt. 3 e 97 Cost. Illegittimità in via derivata e consequenziale”;

5. ”Violazione di legge (artt. 1, 8 e 9 Direttiva 98/34/CE, come modificata dalla Direttiva 98/48/CE; artt. 1 e ss. D.Lgs. n. 427 del 2000). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Eccesso di potere per difetto di istruttoria”;

6. ” Violazione di legge (art. 5-bis L.P. n. 13 del 1992, e s.m.i.; artt. 1, 2 e 3 L.P. n. 17 del 2012; principi emergenti). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti. Illegittimità in via derivata e consequenziale”;

7. “Violazione di legge (art. 5-bis L.P. n. 13 del 1992; artt. 1 e ss. L.P. n. 13 del 1997; artt. 1, 2 e 3 L.P. n. 17 del 2012; artt. 26, comma e, lett. b e 28 D.P.REG 1° febbraio 2005, n. 3/L; art. 17 Statuto Comune di Bressanone; principi emergenti). Eccesso di potere per carenza o erronea valutazione dei presupposti”.

All’udienza pubblica del 9 ottobre 2013 il ricorso è stato nuovamente trattenuto in decisione.

DIRITTO

Il ricorso non è fondato.

L’infondatezza del ricorso nel merito esime il Collegio dall’esame delle eccezioni preliminari sollevate dalle amministrazioni resistenti.

E’ bene premettere che il signor XXX XXX, titolare dell’omonima impresa individuale, con sede a Bressanone, è titolare della licenza per la conduzione del bar “XXX”rilasciata dal Sindaco il 4 gennaio 2011, ai sensi degli artt. 2, 7 e 8 della legge provinciale 14 dicembre 1988, n. 58 (doc.ti 6 e 19 del ricorrente).

Va precisato che la licenza rilasciata dal Sindaco equivale ad una licenza rilasciata ai sensi dell’art. 86, primo comma, del Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773 (di seguito denominato TULPS). Invero, lo Statuto di autonomia e le relative norme di attuazione hanno attribuito alla Provincia autonoma di Bolzano e al suo Presidente competenze speciali in materia di esercizi pubblici e di pubblica sicurezza, in relazione agli esercizi stessi (cfr. artt. 9, numero 7, 16 e 20 dello Statuto regionale, approvato con DPR 31 agosto 1972, n. 670; artt. 1 e 3 del DPR 1 novembre 1973, n. 686 e art. 3, comma 3, DPR 19 novembre 1987, n. 526). La funzione amministrativa relativa al rilascio delle licenze di esercizio e le altre funzioni amministrative previste dalla citata legge provinciale n. 58 del 1988 sono state poi delegate al sindaco competente per territorio (cfr. art. 8 della legge provinciale n. 58 del 1988).

Inoltre, va chiarito che, ai sensi dell’art. 86, quarto comma, del citato Testo Unico delle leggi di pubblica sicurezza (come sostituito dall’art. 1, comma 534, della legge 23 dicembre 2005, n. 266), a decorrere dal 1° gennaio 2006, non occorre più una specifica licenza di polizia amministrativa per installare apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS, quando i locali nei quali si intende installarli sono già in possesso di una licenza per la conduzione di un bar.

Presso tali esercizi sono quindi installabili gli apparecchi da gioco, nel rispetto dei parametri numerico quantitativi stabiliti dall’art. 4 del D. Dirett. 27 luglio 2011 (nel caso di specie, tenuto conto della superficie del locale, il numero massimo di apparecchi installabili è pari a 6).

Dalla documentazione in atti risulta che il ricorrente è regolarmente iscritto nell’elenco dei soggetti che svolgono attività funzionali alla raccolta del gioco mediante apparecchi da divertimento con vincite di denaro, di cui all’art. 1, comma 533, della legge 23 dicembre 2005, n. 266 e s.m., tenuto dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato .

Risulta inoltre che il ricorrente, in data 9 dicembre 2011, ha stipulato con la società Sisal Slot Spa, con sede in Milano un contratto per il servizio di connessione degli apparecchi di gioco di cui all’art. 110, comma 6, lettera a), del TULPS (doc. 21 del ricorrente).

Nel corso dei tre sopralluoghi effettuati nel bar “XXX”, rispettivamente il 17 dicembre 2012, il 28 febbraio 2013 e il 1° marzo 2013, la Polizia municipale di Bressanone ha potuto accertare la presenza di n. 5 apparecchi da gioco riconducibili alla tipologia di cui all’art. 110, comma 6, TULPS (doc.ti 11, 12 e 13 del Comune).

1. Tutto ciò premesso e chiarito, si può ora procedere all’esame del primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente lamenta, anzitutto, che le nuove disposizioni che prevedono la rimozione degli apparecchi da gioco lecito già installati negli esercizi pubblici al 15 dicembre 2010 e le sanzioni relative (aggiunte alla legge provinciale sugli esercizi pubblici n. 58 del 1988 con la recente legge provinciale 11 ottobre 2012, n. 17), si porrebbero in contrasto con:

a) l’art. 110 del TULPS, in quanto le disposizioni provinciali inciderebbero direttamente ed immediatamente sull’individuazione e installazione dei giochi leciti;

b) l’art. 14bis del DPR 26 ottobre 1972, n. 640, che sancisce l’obbligatorietà del collegamento degli apparecchi da gioco alla rete telematica, da intendersi quale strumento di controllo preventivo e di vigilanza continua del gioco lecito;

c) l’art. 1, comma 82, della legge 13 dicembre 2010, n. 220, in quanto il ricorrente, debitamente iscritto nell’elenco dei soggetti che svolgono “attività in materia di apparecchi di intrattenimento”, sarebbe abilitato a svolgere l’attività presso l’esercizio pubblico gestito, senza che la Provincia possa inibire l’esercizio di tale titolo abilitativo.

Inoltre il ricorrente lamenta la carente o erronea valutazione dei presupposti e il difetto di istruttoria.

Infine, il ricorrente solleva questione di legittimità costituzionale delle norme provinciali suddette, per violazione dell’art. 117, comma 2, lettera h), Cost (che stabilisce la competenza legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordine pubblico e sicurezza”), in quanto inciderebbero sul funzionamento della rete telematica degli apparecchi da gioco, volta ad assicurare il gettito statale derivante dal gioco lecito, nonché per violazione dell’art. 9, numero 7, dello Statuto di autonomia, che non riconoscerebbe alcuna potestà legislativa alla Provincia in tale materia.

Le doglianze non hanno pregio.

E’ opportuno richiamare le disposizioni della legge provinciale sugli esercizi pubblici 14 dicembre 1988, n. 58, su cui si controverte.

L’art. 11, comma 1 (modificato dall’art. 2 della legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13), così recita: “Fermo restando quanto disposto all’articolo 4 in ordine alle sale da biliardo, da giuochi e di attrazione, nei pubblici esercizi possono essere tenuti e praticati i giuochi non vietati ai sensi dell’articolo 110, comma 6, del Testo unico sulla pubblica sicurezza, approvato con R.D. 18 giugno 1931, n. 773, e successive modifiche”.

Il comma 1bis dello stesso art. 11 (aggiunto dall’art. 2, comma 2, della legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13), così recita: “Anche i giochi leciti non possono essere messi a disposizione in un raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio – assistenziale. La Giunta provinciale può individuare altri luoghi sensibili, in cui i giochi non possono essere messi a disposizione”.

Il comma 1ter dell’art. 11 (aggiunto dall’art. 1, comma 1, della legge provinciale 11 ottobre 2012, n. 17), così recita: “Gli apparecchi da gioco ai sensi dell’articolo 110, comma 6, del Testo Unico delle leggi sulla pubblica sicurezza, approvato con regio decreto 18 giugno 1931, n. 773, e successive modifiche, già installati negli esercizi pubblici all’entrata in vigore della disposizione di cui al comma 1-bis devono essere rimossi entro due anni dall’entrata in vigore del comma 1-bis….”.

L’art. 47, comma 1 (modificato dall’art. 1, comma 2, della citata legge provinciale n. 17 del 2012) stabilisce poi che “i difetti dei locali e delle dotazioni, atti a pregiudicare la salute o la vita della clientela o degli addetti, riscontrati nel corso della funzione di vigilanza e controllo sono comunicati al sindaco. Lo stesso vale nel caso in cui siano messi a disposizione giochi leciti in contrasto con quanto stabilito dall’articolo 11”. E il comma 2 dello stesso art. 47 (modificato dall’art. 2, comma 1, della legge provinciale n. 17 del 2012) prevede che “il sindaco può, con provvedimento motivato, disporre in ogni momento la rimozione dei difetti contestati oppure dei giochi leciti in contrasto con l’articolo 11, sospendendo, in casi particolarmente gravi, l’attività dell’esercizio fino all’avvenuta rimozione dei difetti ovvero di questi giochi”.

Infine l’art. 54, comma 3, lett. k) (lettera sostituita dall’art. 3, comma 1, della legge provinciale n. 17 del 2012) stabilisce che “è soggetto alla sanzione amministrativa pecuniaria, da un minimo di Euro 144,00 ad un massimo di Euro 552,00, chiunque… non rimuove i difetti dei locali o delle dotazioni oppure i giochi leciti in contrasto con l’articolo 11, riscontrati ai sensi dell’articolo 47, fermo restando quanto previsto al comma 2 dell’articolo 47”.

Osserva il Collegio che il legislatore provinciale, con le modifiche introdotte nel 2012 (così come con quelle introdotte nel 2010), non è intervenuto per contrastare e prevenire il gioco illegale (cioè per prevenire reati o mantenere l’ordine pubblico), né per disciplinare direttamente le modalità di installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS e nemmeno per individuare i giochi leciti (materie riservate alla competenza del legislatore statale). E’ intervenuto per disporre la rimozione degli apparecchi da gioco in ragione della loro prossimità a determinati luoghi, che potrebbero, da un lato indurre al gioco soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi (quindi maggiormente esposti all’illusione di conseguire vincite e facili guadagni) e, dall’altro lato, creare problemi di viabilità e di inquinamento acustico delle aree interessate.

Giova tener presente che la Corte Costituzionale, nella sua recente sentenza 10 novembre 2011, n. 300, vagliando la legittimità costituzionale dell’art. 11, comma 1bis della legge provinciale n. 58 del 1988, ha ritenuto del tutto legittima la disposizione provinciale contenente divieti di localizzazione per gli apparecchi da gioco lecito.

In particolare la Corte ha rilevato che:

– le disposizioni oggetto del giudizio, le quali si inseriscono in corpi normativi volti alla regolamentazione degli spettacoli e degli esercizi commerciali, dettando precipuamente limiti alla collocazione nel territorio delle sale da gioco e di attrazione e delle apparecchiature per giochi leciti, sono dichiaratamente finalizzate a tutelare soggetti ritenuti maggiormente vulnerabili (o per la giovane età o perché bisognosi di cure di tipo sanitario o socio – assistenziale), e a prevenire forme di gioco cosiddetto compulsivo, nonché ad evitare effetti pregiudizievoli per il contesto urbano, la viabilità e la quiete pubblica;

– le evidenziate finalità tutorie valgono a differenziare le disposizioni impugnate dal contesto normativo in materia di gioco, di cui si è già occupata la Corte (sentenze n. 72 del 2010 e n. 237 del 2006), rendendo la normativa provinciale in esame non riconducibile alla competenza legislativa statale in materia di “ordine pubblico e sicurezza”; quest’ultima materia, per consolidata giurisprudenza della Corte, attiene alla “prevenzione dei reati ed al mantenimento dell’ordine pubblico”, inteso questo quale “complesso dei beni giuridici fondamentali e degli interessi pubblici primari sui quali si regge la civile convivenza nella comunità nazionale”;

– gli interessi pubblici primari che vengono in rilievo ai fini considerati sono unicamente gli interessi essenziali al mantenimento di una ordinata convivenza civile, poiché, diversamente opinando, si produrrebbe una smisurata dilatazione della nozione di sicurezza e ordine pubblico, tale da porre in crisi la stessa ripartizione costituzionale delle competenze legislative, con l’affermazione di una preminente competenza statale potenzialmente riferibile a ogni tipo di attività; la semplice circostanza che la disciplina normativa attenga a un bene giuridico fondamentale, quale quello della tutela dei minori, non vale, dunque, di per sé, a escludere la potestà legislativa regionale o provinciale, radicando quella statale;

– le disposizioni provinciali censurate hanno riguardo a situazioni che non necessariamente implicano un concreto pericolo di commissione di fatti penalmente illeciti o di turbativa dell’ordine pubblico, inteso nei termini dianzi evidenziati; si preoccupa, piuttosto, delle conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti;

– le disposizioni impugnate, infatti, non incidono direttamente sulla individuazione ed installazione dei giochi leciti, ma su fattori (quali la prossimità a determinati luoghi e la pubblicità) che potrebbero indurre al gioco un pubblico costituito da soggetti psicologicamente più vulnerabili od immaturi e influire sulla viabilità e sull’inquinamento acustico delle aree interessate.

Ebbene, ad avviso del Collegio, le suesposte osservazioni della Corte non possono che valere anche per la neointrodotta norma provinciale (art. 1, comma 1, della LP n. 17 del 2012) che ha disposto – coerentemente con il divieto di installare apparecchi da gioco lecito nel raggio di 300 metri dai c.d. luoghi sensibili, precedentemente stabilito – l’obbligo di rimuovere gli apparecchi già installati negli esercizi pubblici che si trovino nel raggio di 300 metri da detti luoghi.

E’ chiaro, infatti, che il fine della nuova norma è il medesimo che aveva indotto, in precedenza, lo stesso legislatore a vietare la messa a disposizione degli apparecchi da gioco in determinate parti limitate del territorio. In assenza di questo ulteriore e complementare intervento, la detta tutela non potrebbe, invero, essere pienamente realizzata.

Appare, quindi, manifestamente infondata la questione di illegittimità costituzionale degli artt. 1, 2 e 3 della legge provinciale 11 ottobre 2012, n. 17, per violazione dell’art. 117, comma 2, lettera h), Cost. e dello Statuto speciale di autonomia per il Trentino – Alto Adige. La Corte Costituzionale, nella citata sentenza n. 300 del 2011, ha eliminato ogni dubbio: l’intervento del legislatore provinciale nella specifica materia sopra descritta non è invasivo della competenza statale esclusiva in materia di ordine pubblico e sicurezza.

Ad avviso del Collegio, la norma provinciale che impone la rimozione degli apparecchi da gioco non incide neppure sul funzionamento della rete telematica dei giochi leciti.

Invero, con il citato criterio di localizzazione, la norma si limita a disporre la rimozione degli apparecchi che si trovino su limitate e ben determinate fasce di territorio, giudicate sensibili. Gli stessi apparecchi ben possono essere installati in esercizi ubicati al di fuori delle aree c.d. sensibili, senza alcun pregiudizio per la rete telematica: il flusso delle entrate erariali potrà essere così garantito, senza alcun danno sociale e sanitario alle fasce di popolazione considerate più fragili e altrimenti indifese.

2. Con il secondo motivo il ricorrente afferma che le due deliberazioni provinciali che hanno individuato i luoghi sensibili, unitamente alle norme provinciali ad esse presupposte, contrasterebbero con il D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (c.d. decreto “Balduzzi”), convertito nella legge 8 novembre 2012, n. 189. In particolare, l’art. 7, comma 10, di tale decreto avrebbe identificato un “numerus clausus” di luoghi c.d. sensibili, i quali divergerebbero in certa misura da quelli individuati dalla Provincia autonoma di Bolzano e dal Comune di Bressanone; e tale decreto avrebbe anche riconosciuto all’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli una esclusiva potestà di pianificazione, con riferimento alla “progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco” praticato con gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del TULPS, “previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata” (di cui all’art. 8 del D. Lgs. 28 agosto 1997, n. 281). Le disposizioni provinciali introdotte nella legge provinciale n. 58 del 1988 con la legge provinciale 11 ottobre 2012, n. 17 non avrebbero tenuto conto “della chiamata in sussidiarietà effettuata dallo Stato nei confronti delle Autonomie locali, con conseguente contrasto con gli artt. 114, 117 e 118 Cost.”.

Anche queste doglianze non colgono nel segno.

Rileva il Collegio che il legislatore statale ha dettato diposizioni volte a contrastare il gioco delle persone più giovani molto tempo dopo l’intervento del legislatore provinciale (sulla definizione di “giovane”, si rimanda alla sentenza di questo Tribunale 18 dicembre 2012, n. 376).

E’ noto che le prime misure volte a vietare l’installazione di apparecchi da gioco nelle zone c.d. sensibili sono state adottate dalla Provincia autonoma di Bolzano con la legge provinciale 22 novembre 2010, n. 13; va dato atto al legislatore provinciale di Bolzano di essere stato il primo in Italia a prendere coscienza del crescente fenomeno della dipendenza da gioco e ad emanare, di conseguenza, disposizioni volte a contrastare la dipendenza dei giovani dal gioco.

Solo due anni dopo, con il D.L. 13 settembre 2012, n. 158 (convertito con la legge 8 novembre 2012, n. 189), il legislatore statale, ha adottato “misure di prevenzione per contrastare la ludopatia”). Sennonché, nonostante il lodevole intento espresso nella rubrica dell’art. 7, nella loro stesura finale, le misure adottate si rivelano blande rispetto alla finalità che lo stesso legislatore si era dato; e la loro attuazione, oltretutto, viene rimandata nel tempo.

Recita infatti l’art. 7, comma 10, del citato decreto “Balduzzi”: “L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, tenuto conto degli interessi pubblici di settore, sulla base di criteri, anche relativi alle distanze da istituti di istruzione primaria e secondaria, da strutture sanitarie e ospedaliere, da luoghi di culto, da centri socio-ricreativi e sportivi, definiti con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze, di concerto con il Ministro della salute, previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata, di cui all’articolo 8 del decreto legislativo 28 agosto 1997, n. 281, e successive modificazioni, da emanare entro centoventi giorni dalla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi ai predetti luoghi. Le pianificazioni operano relativamente alle concessioni di raccolta di gioco pubblico bandite successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto (n.d.r.: 11 novembre 2012) e valgono, per ciascuna nuova concessione, in funzione della dislocazione territoriale degli istituti scolastici primari e secondari, delle strutture sanitarie ed ospedaliere, dei luoghi di culto esistenti alla data del relativo bando. Ai fini di tale pianificazione si tiene conto dei risultati conseguiti all’esito dei controlli di cui al comma 9, nonché di ogni altra qualificata informazione acquisita nel frattempo, ivi incluse proposte motivate dei comuni ovvero di loro rappresentanze regionali o nazionali. Presso l’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e, a seguito della sua incorporazione, presso l’Agenzia delle dogane e dei monopoli, è istituito, senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica, un osservatorio di cui fanno parte, oltre ad esperti individuati dai Ministeri della salute, dell’istruzione, dell’università e della ricerca, dello sviluppo economico e dell’economia e delle finanze, anche esponenti delle associazioni rappresentative delle famiglie e dei giovani, nonché rappresentanti dei comuni, per valutare le misure più efficaci per contrastare la diffusione del gioco d’azzardo e il fenomeno della dipendenza grave. Ai componenti dell’osservatorio non è corrisposto alcun emolumento, compenso o rimborso di spese”.

Orbene, si è già detto che i giudici della Corte Costituzionale hanno ritenuto non fondata la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali che, dettando norme sulla localizzazione degli apparecchi da gioco lecito, mirano a tutelare le “conseguenze sociali dell’offerta dei giochi su fasce di consumatori psicologicamente più deboli, nonché all’impatto sul territorio dell’afflusso a detti giochi degli utenti”, questione sollevata in riferimento all’art. 117, secondo comma, lett. h) della Costituzione.

La Corte ha ritenuto che le disposizioni de quibus non rientrino nella competenza esclusiva dello Stato in materia di misure di prevenzione dei reati e mantenimento dell’ordine pubblico (art. 117, secondo comma, lett. h), lasciando intendere che esse rientrino nella materia sociale della tutela dei minori e in quella della tutela del territorio, materie nelle quali la Provincia autonoma di Bolzano esercita potestà legislativa esclusiva (cfr. art. 8, risp. numeri 25 e 5 dello Statuto di autonomia). Ciò evidentemente a prescindere dalla collocazione delle disposizioni stesse nella legge provinciale sugli esercizi pubblici.

Peraltro, anche volendo considerare che le disposizioni provinciali in esame rientrino nelle materie nelle quali la Provincia esercita una potestà legislativa concorrente, come quella degli esercizi pubblici o quella della sanità (nella quale sono collocate le disposizioni del decreto “Balduzzi”), in base allo Statuto di autonomia, letto in combinato disposto con l’art. 10 della legge costituzionale n. 3 del 2001 (c.d. clausola di adeguamento automatico, anche detta clausola di maggiore favore), la Provincia non meriterebbe censure, in quanto ha rispettato il limite “dei principi fondamentali” stabiliti dalle leggi dello Stato (art. 117, terzo comma, ultimo periodo, della Costituzione).

Il legislatore statale ha indicato, come si evince dalla piana lettura dell’art. 7, comma 10, del decreto “Balduzzi” (sopra riportato), che la necessità di opportunamente distanziare gli esercizi dove sono installati gli apparecchi da gioco da alcuni luoghi giudicati sensibili costituisce un principio fondamentale del decreto (peraltro i luoghi c.d. sensibili non sono elencati nel decreto in forma tassativa, come lascia credere il ricorrente, ma a titolo esemplificativo; l’individuazione dei luoghi, nel dettaglio, viene infatti demandata ad un decreto ministeriale, da adottarsi previa intesa sancita in sede di Conferenza unificata).

In tal senso, il TRGA di Trento, nella sua recente sentenza n. 63 del 21 febbraio 2013, ha affermato essere “uno dei principi fondamentali del sopravvenuto decreto Balduzzi…l’esigenza – sia pure valutata con un diverso grado di urgenza – che tra i locali, ove sono installati gli apparecchi da gioco, e determinati luoghi di aggregazione e/o permanenza di fasce vulnerabili della popolazione “debba intercorrere una distanza minima, idonea ad arginare i richiami e le suggestioni consistenti nell’illusoria possibilità di facile ed immediato arricchimento” (nello stesso senso cfr. anche TRGA Trento 7 marzo 2013, n. 104).

Quindi le norme provinciali in esame (e le deliberazioni provinciali e comunali sulla individuazione dei luoghi c.d. sensibili) hanno seguito i principi fondamentali contenuti nel decreto “Balduzzi” e li hanno codificati ancora prima della loro introduzione nella legislazione statale.

Peraltro, con riferimento specifico alla disposizione provinciale che dispone la rimozione degli apparecchi da gioco, quando si trovino nel raggio di 300 metri dai luoghi c.d. sensibili, rileva il Collegio che anche il decreto “Balduzzi” contiene una disciplina di “ricollocazione” (valevole, quindi, anche per gli esercizi già esistenti) degli apparecchi da gioco rispetto a determinati luoghi c.d. sensibili. In ogni caso, va sottolineato che le disposizioni contenute nell’art. 7, comma 10, del decreto “Balduzzi”, non possono comunque essere applicate direttamente nel territorio provinciale, ostandovi l’art. 2 del D. Lgs. 16 marzo 1992, n. 266 (norma di attuazione sui rapporti tra legislazione statale e provinciale).

E’ quindi manifestamente infondata anche la questione di legittimità costituzionale delle disposizioni provinciali di cui si tratta, sollevata dal ricorrente con riferimento agli artt. 114, 117 e 118 Cost.

3. Infondate si palesano anche le censure di cui al terzo motivo, con le quali il ricorrente lamenta che la disposta rimozione degli apparecchi da gioco, già installati nei pubblici esercizi, si tradurrebbe in un’indebita compressione del diritto di iniziativa economica privata, sancito dall’art. 41 della Costituzione, e in un’indebita limitazione della libertà di concorrenza di cui all’art. 117, secondo comma, lett. e) Cost., nonché in una violazione del principio di parità di trattamento tra gli operatori economici. In particolare, il ricorrente assume:

a) che la disposta rimozione degli apparecchi da gioco sarebbe stata disposta esclusivamente con riferimento agli apparecchi installati negli esercizi pubblici e non a quelli installati presso gli esercizi commerciali;

b) che la rimozione non opererebbe con riferimento ad apparecchi da gioco installati presso le sale c.d. “VLT”, autorizzate ai sensi dell’art. 88 TULPS, non costituendo queste “esercizi pubblici”;

c) che la rimozione disposta determinerebbe anche uno sviamento di clientela verso altre forme di gioco, gestite in territori limitrofi, palesandosi così come una misura del tutto inutile;

d) che la disposta rimozione non terrebbe conto del titolo legittimante già rilasciato agli operatori di gioco dall’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli.

Anche la questione di illegittimità costituzionale sollevata con il terzo motivo appare manifestamente infondata.

Osserva, anzitutto, il Collegio che sia il principio di iniziativa economica, sia il principio di tutela della concorrenza non sono assoluti.

E’ noto che l’art. 41 della Costituzione, dopo aver sancito che “l’iniziativa economica privata è libera”, stabilisce che essa “non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità”.

Deve pertanto ritenersi conforme all’art. 41 della Costituzione l’intervento del legislatore provinciale, il quale, allo scopo di prevenire la dipendenza da gioco delle categorie più a rischio, ha adottato misure che stabiliscono distanze minime dai luoghi c.d. sensibili.

La circostanza che una determinata attività sia considerata lecita non comporta, di per sé, che essa possa essere svolta in qualsiasi luogo: limitazioni alla libera iniziativa economica sono sempre possibili, se poste a difesa di interessi di rango costituzionale; ciò è implicitamente affermato anche dal legislatore statale nel già citato decreto “Balduzzi”, intervenuto a tutela del diritto fondamentale individuale e l’interesse collettivo alla salute, sancito dall’art. 32 della Costituzione.

Analoghe considerazioni vanno fatte con riferimento al dedotto contrasto con il principio di libera concorrenza degli operatori economici, sancito dall’art. 117, secondo comma, lett. e), della Costituzione e dal Trattato dell’Unione europea.

Osserva il Collegio che il legislatore provinciale non è intervenuto sul mercato della produzione e commercializzazione degli apparecchi di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS, ma per tutelare interessi ben diversi, come già esposto, senza alcuna finalità “protezionistica” o distorsiva delle regole di mercato.

In ogni caso, il c.d. regime di liberalizzazione introdotto dal legislatore statale non è assoluto, essendo consentite limitazioni quando l’attività economica rechi “danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana e contrasto con l’utilità sociale” (cfr. art. 3, comma 1, lett. c, del D.L. 13 agosto 2011, n. 138, convertito nella legge 14 settembre 2011, n. 148 e art. 1, comma 2, del D.L. 24 gennaio 2012, n. 1, convertito nella legge 24 marzo 2012, n. 27).

Sulle quattro doglianze elencate dal ricorrente in modo specifico, il Collegio osserva che il legislatore provinciale, all’art. 11, comma 1ter, della legge provinciale n. 58 del 1988, dispone la rimozione degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS, che siano “già installati negli esercizi pubblici…”.

Ebbene, nella recente sentenza della Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498, il Consiglio di Stato, chiamato a pronunciarsi sulla natura di esercizio pubblico delle “sale dedicate”, ha affermato che “deve qualificarsi pubblico esercizio, ai sensi del T.U.L.P.S. e della disciplina provinciale dettata in materia, ogni luogo di esercizio di un’attività d’impresa, avente ad oggetto una prestazione d’opera o di servizio rivolta al pubblico, il quale vi possa accedere liberamente (mentre irrilevante è il divieto di accesso a determinate categorie di persone, quali i minori d’età, trattandosi di limitazione inerente alle modalità di esercizio dell’attività, non incidente sulla sua natura)” e ha concluso che “quali esercizi pubblici, le ‘sale dedicate’ erano dunque assoggettate ai divieti di localizzazione posti dall’art. 11, comma 1bis della legge provinciale 14 dicembre 1988, n. 58…”.

Alla luce della sopra citata definizione e dell’art. 86, quarto comma, del TULPS, sia gli esercizi commerciali abilitati all’installazione dei suddetti apparecchi da gioco, sia le c.d. “sale dedicate” o “sale VLT” vanno considerati a tutti gli effetti quali “esercizi pubblici” e, quindi, ricadono nella previsione di cui all’art. 11, comma 1ter della legge provinciale n. 58 del 1988.

Il preteso sviamento di clientela verso siti limitrofi non è sorretto da alcuna prova (peraltro, va rilevato che anche il legislatore provinciale di Trento ha adottato misure che limitano l’installazione degli apparecchi da gioco lecito nei luoghi c.d. sensibili – cfr. art. 13bis della legge provinciale di Trento 14 luglio 2000, n. 9, introdotto dall’art. 47 della legge provinciale di Trento 27 dicembre 2011, n. 18). In ogni caso, per i motivi già esposti, si palesa legittima e del tutto giustificata una limitazione territoriale degli apparecchi da gioco, al fine di tutelare le categorie più sensibili della popolazione dal pericolo della dipendenza da gioco.

Infine, appare irrilevante, ai fini del presente giudizio, la circostanza che gli operatori di gioco siano già abilitati allo svolgimento dell’attività da parte dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli di Stato, ben potendo i titolari delle abilitazioni svolgere la loro attività nelle parti del territorio comunale distanti dai luoghi c.d. sensibili.

Quanto al contratto per il servizio di connessione degli apparecchi da gioco tuttora in essere, osserva il Collegio che esso, di fronte al sopravvenire di una norma imperativa, non può che risolversi di diritto, perdendo la sua efficacia.

4. Con il quarto motivo il ricorrente afferma che gli atti impugnati si porrebbero in contrasto con i principi di ragionevolezza, adeguatezza e proporzionalità, discendenti dagli artt. 3 e 97 della Costituzione e dall’art. 1 della legge 7 agosto 1990, n. 241. In particolare, le convenute amministrazioni avrebbero dovuto “preferire, almeno in prima battuta, l’adozione di misure più ‘miti’ e…solo a seguito del compiuto riscontro dell’inutilità di queste ultime…adottare disposizioni più incisive…”.

La doglianza è infondata.

Va anzitutto rilevato che la giurisprudenza CE in materia di libera prestazione di servizi e offerta di gioco d’azzardo lecito e sua pubblicizzazione, definite attività di servizi ai sensi dell’art. 49 del Trattato CEE, è unanime nel ritenere conformi al Trattato CEE (in particolare agli artt. 43 e 49) le normative nazionali di restrizione alla libera prestazione di servizi, adottate nel settore dei giochi e delle scommesse. In particolare, la Corte di Giustizia dell’Unione europea, nella sentenza 8 settembre 2010, n. 46, ha affermato che tali restrizioni“ si ricollegano il più delle volte alla tutela dei destinatari dei servizi interessati e, più in generale, dei consumatori, nonché alla tutela dell’ordine sociale. La Corte ha altresì sottolineato che tali obiettivi rientrano nel novero delle ragioni imperative di interesse generale, atte a giustificare menomazioni della libera prestazione dei servizi (v. in tal senso, in particolare, sentenze Schindler, cit., punto 58; Läärä e a., cit., punto 33; Zenatti, cit., punto 31; 11 settembre 2003, causa C-6/01, Anomar e a., Racc. pag. I-8621, punto 73, nonché Placanica e a., cit., punto 46)”.

Risulta dunque dalla giurisprudenza della Corte che spetta a ciascuno Stato membro decidere, nell’ambito del proprio potere discrezionale, se, nel contesto dei legittimi scopi da esso perseguiti, sia necessario vietare totalmente o parzialmente attività della suddetta natura, oppure soltanto limitarle e prevedere, a tal fine, modalità di controllo più o meno rigorose, tenendo presente che la necessità e la proporzionalità delle misure adottate devono essere valutate unicamente alla luce degli obiettivi perseguiti e del livello di tutela, che le autorità nazionali interessate intendono garantire.

Il Consiglio di Stato, nella recente sentenza della Sezione IV 20 agosto 2013, n. 4199, ha affermato che “esigenze di carattere sociale o criminale, quali la tutela del consumatore, la prevenzione della frode, il contenimento della propensione al gioco (c.d. ludopatia), ma solo se idonee allo scopo e perseguite in modo coerente e sistematico”, possono giustificare restrizioni alla libertà di stabilimento e alla libera prestazione dei servizi (previste dagli artt. 43 e 49 CE).

Ad avviso del Collegio le ultime misure adottate dal legislatore provinciale appaiono del tutto coerenti con il quadro normativo vigente, ragionevoli, proporzionali ed adeguate.

E’ un fatto che il fenomeno del gioco lecito con gli apparecchi di cui agli artt. 110, comma 6, lett a), del TULPS (c.d. “new slot”, meglio conosciute a livello internazionale come A.W.P. – amusement with prizes) ha assunto in Italia dimensioni notevoli. La perdurante crisi economica induce lo Stato ad aumentare l’offerta di giochi leciti, per ottenere maggiori entrate fiscali, ma questo orientamento induce, al contempo, le persone più fragili ad appellarsi alla fortuna, nell’illusione di risolvere i propri problemi. E’ noto che il gioco lecito, da mero divertimento, può non di rado degenerare in dipendenza, con gravi conseguenze non solo sulla salute (la malattia è chiamata “gioco d’azzardo patologico”, GAP), ma anche di relazione sociale, con elevati costi a carico della collettività.

Appare, quindi, ragionevole che il legislatore provinciale sia intervenuto per proteggere le fasce di popolazione più deboli. A tal riguardo, nella citata sentenza della Sezione VI n. 4498/2013, il Consiglio di Stato ha affermato che “le disposizioni censurate si basano su un ragionevole bilanciamento di interessi costituzionalmente rilevanti”.

Nel caso di specie il Sindaco di Bressanone si è limitato ad applicare le disposizioni provinciali sopra richiamate, che prevedono, in caso di violazione dell’ordine di rimozione, uno specifico iter amministrativo (stabilito dagli artt. 47, comma 2, e 54, comma 3, lett. k, della legge provinciale n. 58 del 1988), che risulta essere stato osservato nella fattispecie (cfr. doc.ti da 11 a 13 del Comune).

5. Parimenti infondate sono le censure contenute nel quinto motivo, con le quali il ricorrente lamenta la violazione degli artt. 1, 8 e 9, della direttiva 98/34/CE, che prevedono l’esperimento di una procedura di informazione nel “settore delle norme e regolamentazioni tecniche e delle regole relative ai servizi della società dell’informazione”, allo scopo di evitare che la libera circolazione delle merci, la libera prestazione di servizi e la libertà di stabilimento, garantite dal Trattato dell’Unione Europea possano venire pregiudicate ovvero ostacolate, direttamente o indirettamente, da una loro eventuale applicazione.

Per disattendere la censura è sufficiente richiamare la giurisprudenza comunitaria e nazionale, che ha escluso la qualificazione di “regole tecniche” per le disposizioni che contengano restrizioni all’apertura di locali adibiti al gioco, a tutela di determinate categorie di persone maggiormente vulnerabili in funzione della prevenzione della dipendenza dal gioco (interesse fondamentale, salvaguardato dallo stesso Trattato CEE) e ha affermato la conseguente non necessità di previa comunicazione alla Commissione europea, ai sensi della direttiva 98/34/CE (cfr., ex multis, sentenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea 24 gennaio 2013, n. 186; Consiglio di Stato, Sez. VI, 11 settembre 2013, n. 4498; TRGA Bolzano, 18 dicembre 2012, n. 376; TRGA Trento, 21 febbraio 2013, n. 64 7 marzo 2013, n. 104 e 20 marzo 2013, n. 96).

6. Con il sesto motivo il ricorrente lamenta che la deliberazione della Giunta provinciale n. 1570 del 29 ottobre 2012 (che ha individuato ulteriori luoghi c.d. sensibili, nel raggio di 300 metri dai quali non possono essere tenuti ed installati i giochi leciti, di cui all’art. 110, comma 6, del TULPS) e la deliberazione della Giunta comunale di Bressanone n. 472 del 28 novembre 2012 (che ha circoscritto, all’interno del territorio comunale, i luoghi c.d. sensibili) sarebbero carenti di istruttoria: in particolare, non sarebbe dato comprendere sulla base di quali risultanze istruttorie si sia pervenuti alla decisione di ricomprendere ulteriori luoghi c.d. sensibili (quali “campi sportivi, impianti sportivi, impianti per il tempo libero, palazzetti dello sport pubblici e biblioteche pubbliche”), dato che non risulta essere stata effettuata alcuna indagine preventiva sulla presunta incidenza nociva del fenomeno del gioco lecito sul tessuto socio – economico comunale.

Le censure sono inammissibili e comunque infondate.

Osserva, anzitutto, il Collegio che la deliberazione della Giunta comunale n. 472 del 2012 si limita ad “approvare la planimetria, elaborata dall’ufficio tecnico comunale, con la determinazione dei ‘luoghi sensibili’ sul territorio comunale di Bressanone”, nei quali non possono essere installati gli apparecchi da gioco di cui si tratta, ovvero devono essere rimossi, se già installati. Si tratta, con ogni evidenza, di un atto meramente applicativo delle norme provinciali e degli atti deliberativi provinciali.

Quanto alla deliberazione della Giunta provinciale n. 1570 del 2012 (avente ad oggetto: Modifica della deliberazione 12 marzo 2012, n. 341 – Individuazione dei ‘luoghi sensibili’ ai sensi della legge provinciale 13 maggio 1992, n. 13”), essa si limita a sostituire il punto n. 1 della parte dispositiva della precedente deliberazione n. 341 del 2012 (che aveva individuato ulteriori luoghi c.d. sensibili ai sensi dell’art. 5bis della legge provinciale n. 13 del 1992 in materia di spettacoli pubblici, contenente una disposizione analoga a quella di cui all’art. 11, comma 1bis, della legge provinciale n. 58 del 1988).

Ebbene, da un confronto delle due deliberazioni, risulta che la deliberazione n. 1570 del 2012, lungi dall’estendere l’elenco dei luoghi c.d. sensibili, li ha in realtà ridotti, eliminando dall’elenco le biblioteche, le stazioni ferroviarie e di autobus, le fermate ferroviarie e di autobus e i luoghi di culto.

Difetta, quindi, l’interesse del ricorrente a censurare la legittimità di quest’ultima deliberazione provinciale che, se annullata, farebbe ritornare in vigore la precedente deliberazione n. 341 del 2012, ben più gravosa nell’ottica del ricorrente.

Inoltre, l’ordinanza di rimozione impugnata si riferisce, nel caso specifico, esclusivamente ai luoghi elencati nell’art.11, comma 1bis, della citata legge provinciale n. 58 del 1988: afferma, infatti, che “l’esercizio bar XXXXX è ubicato…nel raggio di 300 metri da istituti scolastici di qualsiasi grado, centri giovanili o altri istituti frequentati principalmente da giovani o strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o socio – assistenziale…”). E questa circostanza non è contestata dal ricorrente, di talché egli non ha alcun interesse attuale e concreto alla censura riferita alla deliberazione della Giunta provinciale n. 1570 del 2012, che riguarda luoghi diversi da quelli individuati dal legislatore provinciale nell’art. 11, comma 1bis, della legge provinciale n. 58 del 1988.

7. Infondato è infine anche il settimo motivo, con il quale il ricorrente deduce che la deliberazione della Giunta comunale di Bressanone n. 472 del 28 novembre 2012 avrebbe dovuto essere adottata dal Consiglio comunale, non dalla Giunta. In base all’art. 26, comma 3, lett. b), del Testo Unico delle leggi regionali sull’ordinamento dei Comuni (approvato con D.P.reg. 1 febbraio 2005, n. 3/L), spetta al Consiglio comunale adottare “i piani territoriali e urbanistici….”; e la deliberazione in esame, appunto, andrebbe inquadrata tra gli atti di governo del territorio.

Inoltre, l’art. 28 del citato Testo Unico afferma che la Giunta comunale “compie tutti gli atti amministrativi che non siano riservati al Consiglio” e l’art. 17 dello Statuto comunale brissinese stabilisce che la Giunta si limita ad attuare “gli indirizzi generali del Consiglio comunale”.

L’impugnata deliberazione n. 472 del 2012 si porrebbe anche in contraddizione con la precedente deliberazione del Consiglio comunale n. 96 del 27 ottobre 2011 (richiamata nelle premesse della deliberazione impugnata), avente ad oggetto l’approvazione del documento di indirizzo “sulle azioni del Comune di Bressanone a tutela dei giocatori d’azzardo e contro i rischi derivanti dalla dipendenza da gioco”, che non prevedrebbe la rimozione degli apparecchi da gioco dagli esercizi pubblici presso i quali sono già installati. Il provvedimento della Giunta avrebbe dovuto, perciò, essere preceduto da un nuovo atto consiliare, attuativo di quanto disposto dalla sopravvenuta legge provinciale 11 ottobre 2012, n. 17.

In ordine a questo ordine di censure va rilevato, anzitutto, che la deliberazione della Giunta comunale n. 472 del 2012 non è un atto esercitato nell’ambito della potestà regolamentare del Comune, bensì un atto esecutivo della normativa provinciale, di natura meramente tecnica, come tale non rientrante nella competenza del Consiglio comunale, bensì in quella residuale della Giunta, ai sensi del citato art. 28 del D.P. reg.n. 3/L del 2005.

Invero, come già detto, con l’impugnata deliberazione, la Giunta comunale si è limitata ad approvare un documento (planimetria), elaborato dall’ufficio tecnico comunale, che ha individuato, in concreto, nel territorio di Bressanone, i c.d. luoghi sensibili, nei quali non possono essere installati gli apparecchi da gioco di cui si tratta, ovvero devono essere rimossi, se già installati, in esecuzione di quanto disposto nelle norme provinciali e nei relativi atti deliberativi provinciali.

Ad avviso del Collegio la deliberazione della Giunta non può neppure essere inquadrata negli atti comunali che regolamentano l’uso del territorio, dato che si limita ad individuare geograficamente sul territorio comunale le fasce di inibizione dell’offerta di gioco lecito, in applicazione della normativa provinciale.

Infine, osserva il Collegio che l’impugnata deliberazione della Giunta comunale n. 472 del 2012 non si pone affatto in contraddizione con la precedente deliberazione consigliare di indirizzo programmatico n. 96 del 2011 (quest’ultima adottata prima dell’entrata in vigore dell’art. 1, comma 1, della legge provinciale 11 ottobre 2012, n. 17, che ha aggiunto il comma 1ter all’art. 11 della legge provinciale n. 58 del 1988, disponendo, in aggiunta al divieto di installazione, anche la rimozione degli apparecchi da gioco già installati, che si trovino nei luoghi c.d. sensibili).

L’atto di approvazione della planimetria che individua geograficamente, sul territorio di Bressanone, i luoghi c.d. sensibili appare, in realtà, conforme non solo alla normativa sopravvenuta, ma anche alle finalità e alle azioni programmatiche contenute nella deliberazione consigliare di indirizzo, come si evince dalla lettura dell’atto stesso cui si rimanda, per brevità di esposizione.

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