Gli investimenti stranieri nel settore dei giochi. Di Stefano Sbordoni

(Jamma) Il 20 marzo u.s. si e’ dato il via alle 12 nuove concessioni per la gestione della rete telematica degli apparecchi da divertimento e intrattenimento (AWP e VLT), con contestuale cessazione di quelle (10) già in essere. Con provvedimento successivo invece, dalla gara e’ stata esclusa la BPlus Giocolegale Ltd,  per la quale si e’ comunque disposto in via transitoria per un periodo non  superiore a sei mesi (considerata la natura del provvedimento che ha determinato l’esclusione dalla gara) l’esercizio delle attività e funzioni oggetto della concessione in scadenza anche dopo il 20 marzo 2013. Esercizio di attività e funzioni nel periodo transitorio da svolgere comunque con modalità idonee a garantire la regolare gestione del servizio, ed il tempestivo versamento delle imposte e altri pagamenti dovuti dalla Società (nonché da tutti i soggetti alla stessa vincolati contrattualmente) sotto lo stretto controllo dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli. Nel corso di questi mesi sono stati esaminate diverse ipotesi per trovare una soluzione atta a garantire al menzionato operatore la continuità del proprio esercizio, a salvaguardia dei posti di lavoro e della stessa funzione pubblica (si parla di una rete di circa 90mila AWP e 12mila VLT).  La soluzione che sembrerebbe aver raccolto il parere favorevole delle Pubbliche Autorità (Prefetto di Roma e Agenzia delle Dogane e dei Monopoli) coinvolte nella vicenda,  è  quella del blind trust, che forse – almeno fino ai primi mesi dell’anno venturo – permettera’ di traghettare la concessione e tutte le altre attività in capo al gruppo BPLUS verso la cessione definitiva in favore di potenziali acquirenti che sembrerebbero interessati al business connesso al gioco canalizzato in circuiti leciti.  Quanto alla figura del blind trust, osserviamo brevemente quanto segue.   Il trust è un istituto di diritto anglosassone, cui è stata dedicata un’apposita convenzione internazionale che ne riconosce gli effetti nello stato italiano, quando sia stato costituito in un ordinamento straniero che lo prevede come fattispecie tipica (convenzione dell’Aja del 1 luglio 1985, ratificata dalla Repubblica Italiana con legge 364/89). Il trust, tra le sue molte variabili presenta alcuni dati comuni, che consistono: 1) nel trasferimento dei beni dal proprietario ( c.d. settlor) ad un amministratore ( c.d. trustee), 2) nella separazione di tali beni dal residuo patrimonio del trustee, 3) nella perdita di ogni potere di controllo e direzione da parte del settlor, 4) nella esistenza di un termine massimo di durata del trust e nella fissazione di uno scopo, al cui raggiungimento è ispirata l’intera gestione del trustee. Il c.d. blind trust,  particolare applicazione del menzionato istituto, trova nella legislazione degli Stati Uniti d’America il suo sviluppo più significativo. Il trasferimento dei poteri di gestione in capo al trustee viene nel caso del blind trust  effettuato da coloro che accedono a cariche ed impieghi pubblici di vario ordine, al fine di impedire che le scelte effettuate nell’esercizio di tali funzioni possano mai essere sospettate di anomalo orientamento verso interessi privati. Con la cessione in trust si vuole impedire alla radice qualsivoglia forma di conflitto (pur se solo ipotetico) tra l’interesse pubblico e l’interesse privato del proprietario di beni e ricchezze, quale che sia la natura di queste. Il trust è congegnato come cieco (blind): la gestione del trustee non solo è autonoma ed indipendente, ma concerne beni e valori che restano ignoti all’interessato. Due aspetti contraddistinguono il blind trust rispetto al trust classico: l’assenza di un preciso requisito finalistico, poiché la gestione, anziché esser rivolta a vantaggio di uno o più beneficiari, è orientata solo a garantire temporaneamente l’imparzialità del funzionario; la sua cecità  (blind) nella gestione, univocamente finalizzata ad eliminare il conflitto (potenziale) di interessi. A tal proposito nel caso che qui ci occupa sembrerebbe – secondo quanto riferito da alcune agenzie di stampa – che la gestione della Società che attualmente opera  in proroga tecnica, sarà affidata a “Bplus Trust” (che avrebbe già ricevuto dall’attuale azionista il 100% delle azioni) fino al 30 maggio 2014, data entro la quale la società dovrà procedere alla vendita di tutte le azioni. Ad oggi sembrerebbe vi siano diversi gruppi interessati all’acquisto di BPLUS. Alcuni che già conoscono il mercato, come Codere (peraltro gia concessionario di rete in Italia), altri sono fondi d’investimento anglosassoni,  che già in passato hanno acquisito importanti realtà nell’ambito del mercato italiano del gioco. Nell’ottica della cessione, appare condivisibile la scelta di aver comunque voluto salvaguardare la forza lavoro di BPLUS e l’intero business connesso al gruppo. Gli effetti di una scelta diversa infatti,  (perdita definitiva della concessione di rete e di tutte le altre attività comunque connesse alla raccolta del gioco pubblico) avrebbero  comunque rappresentato un grave danno per tutta l’industria del settore, ritorcendosi sull’intero sistema del gioco pubblico, a beneficio esclusivo di illegalità ed insicurezza della rete. Peraltro, ipotizzando che le trattative della cessione si concludano in maniere celere e trasparente, il segnale di un investimento straniero nel pieno della burrasca (seppur in gran parte strumentale) che sta investendo il settore, rappresenterebbe oltre che un inversione di tendenza, una tutela per tutti gli operatori della filiera e non solo. Andando anche al di la del settore stesso. Già in passato infatti investimenti stranieri, e non solo di fondi ma anche di importanti Società, hanno dato la possibilità di sviluppare un business importante che ad oggi garantisce la canalizzazione del gioco in circuiti leciti con la salvaguardia dell’ordine pubblico, entrate all’erario, ed ultimo ma non meno importante, posti di lavoro.

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