Legalità nel comparto gioco pubblico e rischio di impresa: rapporto da rivedere

In ogni industria – scrive oggi l’associazione AS.TRO – il “rispetto delle regole” è un costo, il più delle volte comportante un innalzamento “oggettivo” del “costo stesso” del bene o del servizio, ovvero un abbattimento “oggettivo” dei ricavi del “padrone”. Lealtà fiscale, lealtà contributiva, aderenza ai canoni della sicurezza e della trasparenza amministrativa e produttiva (anche nei confronti degli utenti/clienti/consumatori) sono tutti processi che “costano”, ma che “in cambio”, forniscono quell’indispensabile ritorno sociale connesso alla finalità costituzionale dell’attività di impresa, la quale, in Italia, non vanta un diritto di insediamento “terzo-mondista”, bensì la libertà di esercizio per finalità di progresso del Paese.

Ciò premesso, e quindi bandito ogni “piagnisteo” connesso a quanto sia costoso, nel mercato italiano, reggere la concorrenza con chi le regole può permettersi di violarle perché in grado di assorbirne o bypassarne le conseguenze sanzionatorie, è tuttavia doveroso evidenziare come il “concetto di legalità” nel comparto giochi inizi ad attraversare una condizione di “pericoloso cortocircuito”.

Le cronache “tambureggiano” oramai da tempo che i locali in cui si raccolgono scommesse (o quasi-scommesse) senza autorizzazione sono “tutelati” dalla giurisprudenza penale, sono “tutelati” da una normativa comunitaria che non si riesce ancora a rendere allineata alla realtà giuridica italiana, sono sponsorizzati da realtà industriali estere per le quali il più appetibile segmento mondiale di mercato per le scommesse risulta essere proprio il nostro Paese (nonostante l’architrave concessoria, e tutta la galassia normativo-regolamentare che sovraintende l’allestimento di un servizio di questa natura).

Al cospetto di questa situazione a cui sino a poco tempo fa si reagiva pensando che “fossero solo problemi di chi fa il mestiere di concessionario per le scommesse” (dimenticando che in un sistema la criticità di una componente finisce sempre per mettere “sotto stress” anche le altre), si somma lo sconcerto per i recenti “proclami” inneggianti alle pronunce giurisprudenziali “salva promogames” .

Se questa è la realtà “felice” del mondo del gioco “non-autorizzato”, che in quanto tale non rientra tra le restrizioni territoriali imposte al gioco lecito in Liguria, Trentino Alto Adige, Lombardia (e decine di altre municipalità c.d. anti-slot), la dimensione delle imprese “ortodosse” inizia a caratterizzarsi per “instabilità”.

Il 50% delle infrazioni che oggi si contestano agli operatori regolari, infatti, prescindono dall’aver posto in essere una lesione ai beni giuridici tutelati dalle norme violate, caratterizzandosi solo per contrasti formali tra risultanze a sistema e stato di fatto consentito.

La slot installata in un centro che raccoglie scommesse (anche se ignoto all’operatore) viene sanzionata per “scoraggiare” la raccolta irregolare di scommesse, ma in realtà costituisce solo un “balzello”, laddove si persegue l’applicazione della pena pecuniaria senza la previa allerta all’operatore sulla condizione effettiva della location in cui opera (di cui spesso solo i detentori di poteri di polizia tributaria /giudiziaria /amministrativa possono acquisire evidenza). Il “sistema”, quindi, non punta a collaborare al suo interno, ma finisce per indebolirsi con la chimera di tutelarsi.

Basterebbe “concepire” l’operatore regolare come “anello del sistema” (e quindi soggetto responsabilizzato ma non destinatario del disvalore) per ottimizzare lo scopo della norma. Notiziando “la rete” delle verifiche che acquisiscono l’evidenza di una attività svolta senza autorizzazione in un punto iscritto all’elenco RIES (con immediato blocco congegni da remoto), si raggiungerebbe lo scopo prefissato, senza “infierire” sui “propri” operatori.

La slot installata in una location vuota ma che a sistema risulta ancora “piena” di congegni viene intimata di rimozione entro 48 ore, e successivamente sanzionata se non movimentata telematicamente. “Il sistema”, quindi, non persegue l’allineamento tra sue evidenze telematiche e stato di fatto, fornendo inconsapevole favore a chi non attua tempestivamente i processi che devono portare il sistema a essere la fotografia effettiva dello stato dei luoghi.

Altre tipologie di esempi possono essere coniate dal segmento distributivo dei congegni, ma non occorre perseguire una completezza assoluta di elencazione, perché lo scopo della presente nota non è di “protesta” per le sanzioni, bensì di concettuale sollecitazione ad una rivisitazione della “funzione” della sanzione.

In una realtà in cui il gioco irregolare già gode di un impianto normativo inidoneo a estrometterlo dal mercato, il circuito del “gioco regolare” dovrebbe perseguire una logica di “auto-tutela” che possa riparare i “suoi operatori” dalle situazioni in cui “cadono”, selezionando chi “si adegua” al principio di collaborazione ed espellendo chi “rema contro”.

Negli ultimi 30 anni della storia repubblicana (dal 1981 ad oggi) la sanzione pecuniaria è stata concepita come “sovvenzione aggiuntiva” rispetto al prelievo erariale, travestendo di burocrazia ciò che non può essere denominato “tributario-fiscale-contributivo”. Con la sanzione si integra ciò che il “prelievo” non riesce a soddisfare.

Il gioco pubblico, quindi, è una galassia che si sino ad ora si è allineata a questa prassi, ma che oggi non può più permettersi di prestare acquiescenza ad uno standard gestionale che rischia di farlo implodere.

Se il “sistema” non comprende che una sanzione da 3.000 euro applicata ad una slot lecita ed autorizzata equivale al ricavo netto di impresa di 18 mesi di esercizio di “quel congegno”, e non prende atto del fatto che l’alternativa “non autorizzata” sta assumendo contorni di “arroganza” tali da sfiancare l’operatore corretto, sarà impossibile mantenere al suo interno una “solidità” tale da reggere alla sfida.

Il gioco pubblico, infatti, che piaccia o non piaccia, si regge solo sulla logica di sistema e se manca una filosofia di tutela interna che si proponga di essere di ausilio e di servizio all’osservanza delle regole, finirà per consegnare il mercato a chi delle regole può fare a meno.

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