La Corte di Cassazione ha stabilito che non c’è nessun danno nei confronti del consumatore nel caso di violazione degli orari di apertura imposti da ordinanza comunale ad una sala giochi.

Con sentenza del 18 dicembre scorso la Cassazione ha respinto il ricorso di una nota associazione di consumatori contro la pronuncia della Corte di Appello di Milano che aveva rigettato il presupposto di azione lesiva dei diritti garantiti dai consumatori per la violazione degli orari di apertura imposti come da ordinanza sindacale.

L’associazione esponeva che alcuni consumatori avevano segnalato la violazione dell’ordinanza del Comune di Milano che prevedeva: ‹‹l’orario di esercizio delle sale giochi è fissato dalle ore 9.00 alle ore 12.00 e dalle ore 18.00 alle ore 23.00 di tutti i giorni, festivi compresi››; le sale slot gestite dalla convenuta, pur esponendo l’orario di apertura 10.00 – 01.00, come emergeva da alcuni video effettuati da volontari dell’associazione, rimanevano aperte dalle 10.00 alle 02.00/03.00; tale comportamento era lesivo degli interessi dei consumatori, considerato che i limiti imposti dall’ordinanza sindacale contribuivano al contrasto di fenomeni di patologia connessi al gioco attraverso interventi volti a regolare e limitare l’accesso alle apparecchiature di gioco.

Si costituiva la società chiamata in causa, chiedendo il rigetto della domanda, deduceva come non fosse provato alcun danno subito dai consumatori quale conseguenza dell’asserita violazione dell’orario di apertura e chiusura delle sale da essa gestite; osservava, inoltre, come al fine di fronteggiare la situazione di assoluta incertezza normativa nella materia del gioco lecito, in data 7 settembre 2017, la Conferenza Unificata Stato-Regioni-Enti locali aveva raggiunto un’intesa per garantire una ‹‹regolamentazione uniforme su tutto il territorio nazionale anche mediante istituzione di fasce orarie di bocco››, riconoscendo ‹‹la facoltà di stabilire per le tipologie di gioco delle fasce orarie fino a sei ore complessive di interruzione quotidiana di gioco››; dovendo l’ordinanza sindacale essere interpretata in conformità a quanto previsto dalla Conferenza Stato – Enti locali, nessun comportamento illecito poteva ad essa essere ascritto, dato che il rispetto degli orari riguardava gli apparecchi slot e non le sale da gioco da essa gestite, che rimanevano aperte, ma con gli apparecchi disabilitati.

Il Tribunale rigettava il ricorso, rilevando che la ricorrente non aveva dimostrato ‹‹che la limitazione dell’orario di funzionamento degli apparecchi da gioco lecito, così come disposta con l’ordinanza sindacale n. 63/2014, fosse effettivamente idonea ad incidere in senso positivo sul fenomeno della ludopatia, limitandolo o riducendone la diffusione››.

Impugnata la sentenza la Corte d’appello aveva rigettato l’appello. Ha osservato, in sintesi, che sussisteva un contrasto giurisprudenziale sulla applicabilità dell’Intesa raggiunta nel la conferenza Stato Enti locali del 2017 e che i motivi di interesse generale che consentivano limitazioni di orario non potevano consistere in ‹‹un’apodittica e indimostrata enunciazione››, ma dovevano concretarsi in ragioni specifiche, ‹‹da esplicitare e documentare in modo puntuale››. Nel caso di specie, l’appellante non aveva adeguatamente provato come l’imposizione dell’obbligo in capo al titolare delle sale giochi di rispettare l’ordinanza comunale fosse idoneo a diminuire i volumi del gioco d’azzardo, in difetto di produzione di documentazione riferibile alla situazione locale.

Da qui il ricorso in Cassazione.

Con il primo motivo il ricorrente sottolinea, in primo luogo, che, avendo inteso l’ordinanza sindacale ridurre l’accesso alle sale slot, è del tutto irrilevante l’intesa raggiunta il 7 settembre 201 7, considerato che il Consiglio di Stato ne ha escluso la natura cogente.

Sostiene che il Tribunale prima e la Corte d’appello successivamente si sono risolte a rigettare la domanda su un asserito difetto probatorio gravante sull’associazione, senza tenere conto che aveva dato dimostrazione della legittimazione ad agire in giudizio a tutela dei consumatori, della condotta attuata dalla controparte (mediante apposite videoregistrazioni) e dell’illegittimità di tale condotta, posta in violazione dell’ordinanza sindacale. Per contro, la società non aveva prodotto alcuna prova di segno contrario.

Per la Cassazione il motivo è infondato. “La sentenza in questa sede si è pronunciata sull’efficacia dell’intesa del 7 settembre 2017, che neppure è posta a fondamento della decisione, ma si è piuttosto limitata a dare atto dell’esistenza di due contrapposti orientamenti formatisi in seno alla giurisprudenza amministrativa, la quale, da una parte, reputa che all’Intesa raggiunta non possa ‹‹riconoscersi ex se alcuna efficacia cogente››, essendo necessario che ‹‹i suoi contenuti siano recepiti in un decreto del Ministero delle finanze›››, e, dall’altra, ritiene che non possa essere disconosciuta ‹‹una certa forza vincolante per le parti che l’hanno sottoscritta, in quanto espressione di principi e regole comuni che hanno trovato mediazione››, cosicché, anche se non ancora recepite in un decreto ministeriale, le relative previsioni ‹‹assumono comunque il valore di parametro di riferimento per l’esercizio da parte delle amministrazioni locali delle loro specifiche competenze, in materia di disciplina degli orari di apertura delle sale gioco e di funzionamento degli apparecchi di gioco››.

Posto ciò, il percorso argomentativo svolto dalla Corte d’appello conduce ad escludere la violazione del precetto di cui all’art. 2697 cod. civ., che, è ben e rammentare, è configurabile soltanto nell’ipotesi in cui il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne era onerata secondo le regole di scomposizione delle fattispecie basate sulla differenza tra fatti costitutivi ed eccezioni e non invece laddove oggetto di censura sia la valutazione che il giudice abbia svolto delle prove proposte dalle parti (sindacabile, quest’ultima, in sede di legittimità, entro i ristretti limiti del “nuovo” art. 360, primo comma, n. 5, cod. proc. civ.). I giudici di merito, partendo dalla considerazione che, nel caso in esame, oggetto di contestazione non è l’ordinanza sindacale in quanto tale, bensì ‹‹il mancato rispetto della stessa quale mezzo di tutela per la salute dei consumatori››, e che l’intervento dell’autorità amministrativa in materia di apertura delle sale giochi deve essere ispirato al principio di proporzionalità, che impone di adottare un provvedimento ‹‹non eccedente quanto sia opportuno e necessario per conseguire lo scopo prefissato››, cosicché detto principio risulta rispettato se la scelta dell’amministrazione è in potenza capace di conseguire l’obiettivo e rappresenta il minor sacrificio possibile per gli interessi coinvolti, sono addivenuti a negare che i motivi di interesse generale che consentano limitazioni degli orari dell’attività da gioco possano essere fondati sulla mera enunciazione di tali interessi ed il richiamo a non meglio specificati ‹‹studi clinici›› in ordine alle dipendenze patologiche da gioco, ma debbano, al contrario, essere adeguatamente provati sulla base di specifici ‹‹studi clinici›› correlati allo specifico ambito territoriale attinto dalle misure in concreto adottate. Alla stregua di tali considerazioni hanno, quindi, escluso che l’odierno ricorrente avesse fornito la suddetta prova, sullo stesso gravante, considerando a tal fine non dirimenti l’astratto riferimento al generale fenomeno del cd. “gioco d’azzardo lecito” ed ai suoi effetti sociali e sanitari, perché non riscontrato da attendibili studi scientifici riferiti allo specifico ambito locale, il generico riferimento “a fatti notori”, non attinenti alla concreta situazione locale, le statistiche elaborate dall’Azienda Sanitaria di riferimento, non esattamente coincidente con lo specifico ambito comunale, come pure l’estratto del libro “Gambling” , pure invocato mancava di un preciso riferimento alla città (…) e il richiamo all’‹‹indagine IPSAD››, dalla quale si evinceva solo come il gioco d’azzardo avesse costituito, negli ultimi anni , ‹‹un’importante tematica di salute pubblica››.

A fronte di tale puntuale apprezzamento del quadro probatorio emerso dall’istruttoria, è del tutto evidente, per un verso, che i giudici di merito hanno fatto buon governo dei criteri di ripartizione dell’onere probatorio, spettando al ricorrente  offrire prova della presunta lesione dei diritti dei consumatori derivante dalla contestata violazione degli orari di apertura delle sale slot.

Non può, peraltro, sottacersi che la decisione gravata si pone in linea anche con i principi espressi dalla giurisprudenza amministrativa che, anche di recente, ha ribadito che ‹‹l’intervento regolatorio in materia deve avvenire previo esperimento di un’istruttoria specificamente riferita al territorio comunale, anche al fine di garantire la tenuta in concreto dei superiori principi di proporzionalità e ragionevolezza dell’azione amministrativa di rango costituzionale ed eurounitario; con la precisazione che ‹‹non è sufficiente il richiamo a fatti notori e affermazioni relative al fenomeno in generale, dovendo essere evidenziata una realtà particolarmente preoccupante, desumibile da una fonte certa››, e che deve, dunque, essere fornita ‹‹la dimostrazione della necessità sullo specifico territorio di riferimento di una maggior e tutela rispetto a quello nazionale che possa essere raggiunta con quella determinata limitazione oraria di accesso al gioco e che, una volta attuata, questa misura non comporti effetti indiretti, quali, ad esempio, lo spostamento della domanda verso forme di gioco illegale››.

La Cassazione ha stabilito quindi che l’associazione ricorrente si fosse limitato a richiami del tutto generici, senza fornire elementi di dettaglio comprovanti gli effetti lesivi paventati.

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