Astro. Dati epidemiologici relativi alla malattia del Gap: la realtà di Bologna non può essere considerata ‘eccentrica’

(Jamma) Piazza dei Martiri e Galleria due Agosto: un raggio di 500 metri quadrati dalla Stazione Ferroviaria di Bologna in cui è possibile “contare” quattro sale VLT di consistenti dimensioni, punti di scommesse sportive, diversi esercizi pubblici normalmente dotati di congegni new slot a moneta metallica.

Questo è solo uno dei numerosi settori di città ad elevata offerta di gioco lecito, che caratterizza Bologna, capoluogo di una tra le Regioni in cui “complessivamente” si registrano i dati più significativi relativamente alla raccolta di gioco lecito.

L’Area metropolitana di Bologna, inoltre, costituisce una perfetta sintesi tra tutte le possibili tipologie di utenti del gioco, peraltro insediati in un Territorio in cui esistono sia porzioni di società in gravissima sofferenza per via della crisi economica, sia molteplici “persistenti” benestanti.

Al cospetto di questa realtà, la statistica sulla ludopatia, ovvero l’impatto socio-sanitario del G.A.P., dovrebbe “sciorinare” dati di “allarme” , allineati con quelle delle città che, nel recente passato e nella più stretta attualità, si dichiarano “strette” nella morsa degli effetti devastanti del gioco.

Ebbene, a Bologna non solo tali dati non emergono, ma l’Osservatorio epidemiologico sulle dipendenze patologiche della AUSL di Bologna esalta una forma diversa di allarme, quella da “panico morale”, fenomeno consistente nel voler dipingere un fenomeno con connotati di gravità “mediatica” che non gli appartengono, finalizzato a scopi commerciali.

Il responsabile dell’osservatorio, il dott. Pavarin, ha recentemente divulgato alla Provincia di Bologna, la seguente evidenza sanitaria : “nel 2012  sono state 63 le persone che si sono rivolte ai servizi perchè soffrivano di ludopatia: quasi il doppio rispetto agli anni precedenti, ma comunque con un’incidenza di  cinque persone su 100.000 residenti . “E’ vero che sui giornali sembra un fenomeno molto diffuso ma in letteratura questo viene definito  ’panico morale’, che serve a far vendere”. Un conto sono le persone che giocano e si rovinano, un conto è chi è davvero malato e soffre di disturbi  psicologici”.

Tale evidenza sanitaria rileva sotto un triplice profilo:

a)         da un lato non è vero che sul G.A.P. “nulla si sa di certo”, e nulla si può sapere di certo fino a quando i servizi territoriali non saranno allestiti a regime con conseguente possibilità di raccolta di dati certi: i servizi sono sempre esistiti, gratuiti e garanti della riservatezza, per tutti i cittadini (come ogni attività del SERD), con incidenze statistiche allineate a quelle riferite dal dott. Pavarin. Ciò significa che i “malati” di gioco patologico che sono suscettibili di cure sanitarie in Italia sono sempre quei 5.000 /5.500 (oggi elevabili a 7.000) che da quasi tre anni caratterizzano la statistica di FederSerD.

b)         dall’altro diventa centrale la differenza tra il “malato”, ovvero il soggetto affetto da una patologia che può essere destinataria di trattamento sanitario, e il “libero arbitrio” utilizzabile, ovviamente, anche in forme scriteriate o comunque non responsabili, avverso il quale “più della pastiglia” pare essere prescrivibile la “tradizionalissima” ri-educazione del soggetto ai valori e alle moderazioni tipiche del vivere civico e civile.

c)         A ciò si aggiunge, pertanto, che il fantomatico dato “prognostico” che il C.N.R. si ostina a diffondere sul G.A.P., circa l’esistenza “calcolabile” di oltre mezzo milione di persone “affette”, e circa altrettante a rischio di “affezione”, si fonda su un erroneo presupposto sanitario, ovvero la “invincibilità psicologica” del gioco una volta “entrato in circolo all’interno di un soggetto”. L’assunto secondo il quale il gioco si impadronisca della persona al pari del narcotico oppiaceo che annienta il S.N.C. è quindi finalmente ascrivibile tra le tante “favole” che – come ricorda il dott. Pavarin – si raccontano “per vendere”.

AS.TRO “è memore” degli accostamenti che sono stati proposti nei confronti degli operatori di gioco legale e controllato, soprattutto dai settori più schierati verso l’opposizione etica alla “pratica del gioco in quanto tale” (il più light è quello di “mercanti d’armi che dicono di volere la pace”).

Ora, una libera e oggettiva realtà sanitaria (priva dei condizionamenti provenienti dai radicalismi etici), ci ricorda che è proprio l’accostamento tra “malato” e “peccatore” a rivelare, invece, una finalità “commerciale a vendere”.

Tutto ciò non sposta, tuttavia, l’approccio della Confindustria del Gioco lecito sul tema , per la quale anche un malato è un fattore di allarme. Tutto ciò non muta l’orientamento di estrema attenzione verso il fenomeno del gioco eccessivo che ancora permane per via dell’impossibilità di educare l’utenza “in positivo” (ovvero su come si può giocare in modo innocuo), e della permanente ideologia che caratterizza la cultura preventiva odierna, volta a “dissuadere dal gioco” e non a praticarlo correttamente.

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