Un gestore è stato rinviato a giudizio per rispondere dei reati di peculato e di appropriazione indebita in qualità di legale rappresentante protempore di una società che gestiva apparecchi da intrattenimento a vincita. Al gestore era stato contestato il delitto di cui agli artt. 81, secondo comma, 314 cod. pen., in quanto l’imputato, in qualità di incaricato di pubblico servizio, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, avendo per ragioni del suo servizio la disponibilità, degli importi relativi al Prelievo Erariale Unico pari a XXXX e del canone di concessione pari a XXX per un importo totale di XX, se ne sarebbe appropriato, omettendo di versarli al predetto concessionario. Fatto commesso da gennaio 2016 al 31/7/2017.

Al capo 2) si contesta, inoltre, al XXXX la commissione dei delitti di cui agli artt. 81, 646 – 61 nn. 7, 9 e 11 cod. pen., perché, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, si sarebbe appropriato della somma di euro 41.922,97, omettendo di versarla quale quota prevista dalla legge di Stabilità 2015 e quale quota di competenza del citato concessionario ; fatto aggravato ai sensi dell’art. 61 n.7 cod. pen., per avere cagionato un danno di rilevante entità, dell’art. 61 n. 9 cod. pen., per avere commesso il fatto in violazione dei doveri inerenti un pubblico servizio, e dell’art. 61 n.11 cod. pen., per aver commesso il fatto con abuso di prestazione d’opera.

La Corte di appello di Bologna aveva ritenuto applicabile anche a questo prelievo i dicta delle Sezioni Unite Rubbo, “in quanto, secondo questa pronuncia, tutto il danaro incassato dal gioco, senza distinzioni tra quote tributarie e suo profitto, appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione e, dunque, il gestore del gioco, che non lo versi al concessionario competente, integra il delitto di peculato (come affermato, proprio con riferimento alla quota del c.d. prelievo forzoso ). Anche la dolosa ritenzione delle somme corrispondenti al c.d. prelievo forzoso da parte dei soggetti incaricati della gestione delle slot machines costituisce, dunque, peculato in ragione del vincolo immanente e originario di destinazione pubblica del danaro immesso nel gioco.

Con sentenza del settembre scorso la Cassazione ha respinto il ricorso del gestore contro la sentenza di condanna (confermata in appello) ricordando che una sentenza delle Sezioni unite viene “affermato che integra il delitto di peculato la condotta del gestore o dell’esercente degli apparecchi da gioco leciti di cui all’art. 110, sesto e settimo comma, TULPS, che si impossessi dei proventi
(tutti i proventi, senza distinzioni tra quote tributarie e suo profitto) del gioco, non versandoli al concessionario competente, in quanto il denaro incassato appartiene alla pubblica amministrazione sin dal momento della sua riscossione (Sez. U., n. 6087 dei 24/09/2020, dep. 2021, Rubbo, Rv. 280573).
Le Sezioni della Corte hanno, inoltre, precisato che il concessionario riveste la qualifica formale di “agente contabile” ed è incaricato di pubblico servizio, funzione cui partecipano il gestore e l’esercente, essendo loro delegate parte delle attività proprie del concessionario”.

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