Gli effetti devastanti delle abrogazioni di fatto. Di Stefano Sbordoni

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(Jamma) In questo periodo tutti i governi delle regioni, senza distinzioni di schieramento politico, si stanno affrettando a promulgare provvedimenti per limitare l’offerta del gioco sul proprio territorio, classificandolo come una piaga sociale. La Regione Puglia ha avviato l’esame di un provvedimento in materia di contrasto del gioco patologico che verrà discusso in questa prima settimana di ottobre.  La proposta sembrerebbe prevedere una serie di azioni preventive e protettive “soprattutto per i giovani di informazione e di educazione sui rischi del gioco d’azzardo”. Nella bozza del provvedimento pare siano previste anche norme che limitano la pubblicità sui giochi d’azzardo, nonché il divieto per quella che può “raggiungere soggetti minorenni..” e “per la pubblicità ingannevole”.

Mentre ci sono regioni che hanno ancora in pancia queste nuove leggi salva anima, altre anche nell’afa estiva hanno già partorito i nuovi provvedimenti. Si pensi alla Legge della Regione Lazio (Legge n. 5 del 5 agosto 2013). Il parlamento della regione laziale con questa norma ha inteso dare ai Sindaci, oltre che maggiori responsabilità, strumenti di controllo per porre dei paletti più rigidi rispetto alle leggi nazionali, al fine di arginare il fenomeno dilagante del gioco d’azzardo e delle slot machine. Viene dunque data alle amministrazioni locali la possibilità di utilizzare le leve fiscali per disincentivare la diffusione delle slot machine. Vi sono però degli errori di base nei presupposti della L.R. n. 5/13; in materia di giochi e scommesse esiste una riserva specifica di legge, che fa sì che gli enti locali non possano intervenire senza invadere il campo del ns legislatore se non violando i dettami costituzionali. Quanto al merito poi, nel nostro Paese non è corretto parlare di fenomeno dilagante del gioco d’azzardo, in quanto, il gioco è oggetto di un’attenta regolamentazione che ha consentito in questi ultimi anni di canalizzarlo in circuiti leciti,  con effetti esclusivamente positivi. Il gioco illegale infatti, favorisce i fenomeni malavitosi e non garantisce entrate all’erario, quelle che nell’immaginario dei nuovi censori di questa attività, rappresenta l’unica fonte per sovvenzionare il loro sistema repressivo (sic!), ivi compresa la sacrosanta prevenzione della ludopatia e/o GAP che dir si voglia. Laddove si è in presenza di gioco non legale, e quindi d’azzardo, ci sono altri strumenti normativi (artt. 718 e seguenti del c.p., la legge n. 401/89 e successive modifiche ed integrazioni ect. ect.) a disposizione degli agenti di pubblica sicurezza per tutelare i cittadini/consumatori. Altro aspetto da non sottovalutare in questo periodo di forte crisi finanziaria, è che tutti gli operatori di gioco pagando le tasse (IMPOSTA UNICA, PREU) sono contribuenti, ed in quanto tali contribuiscono al nostro PIL. La dicitura “gioco d’azzardo”, che viene utilizzata impropriamente in tutte le leggi regionali, è sbagliata, inopportuna e fuorviante; ha l’unico obiettivo di catalizzare negativamente l’attenzione dell’opinione pubblica, che in un tipico clima medievale, crede di aver trovato la vera ragione della crisi. Ahinoi, non è così. Arriviamo a dire purtroppo: cioè, se fosse vero che la crisi si potesse risolvere reprimendo il gioco degli operatori legali, allora ben venga la repressione! La realtà invece è un’altra. Il proibizionismo, l’abrogazione di leggi per  cancellare dal territorio costumi, fenomeni che oramai sono parte integrante della Società, ha come unico obiettivo quello di canalizzare ciò che si abroga in canali illeciti, andando a favorire la criminalità, che non aspetta altro. Questo nuovo orientamento politico, alimentato dall’ignoranza del non sapere cosa altro fare che impera indisturbata, sta alimentando soltanto la crisi del settore lecito dei giochi e scommesse con tutte le conseguenze del caso. Eppure la storia, per tutti coloro che hanno gli strumenti per leggerla, su questo ci insegna qualcosa. Per far meglio comprendere il messaggio, è necessario un esempio estremo. Si pensi alla legge n. 75/58 (pubblicata sulla Gazzetta Ufficiale n. 55 del 4 marzo 1958) che imponeva la chiusura delle case di tolleranza. Quella legge non ha risolto il problema del meretricio. Anzi mai come oggi le cronache raccontano di donne spesso minorenni, sottoposte alla più bieca delle schiavitù. Il meretricio esiste e come: il fatto che non sia più regolamentato ha portato alle organizzazioni criminali un business disumano su un piatto d’argento, con costi sociali di gran lunga superiori all’ipotizzato beneficio. Si trattava di una crescita culturale all’epoca, e come tale fu acclamata. Ma, i tempi cambiano oramai così rapidamente da trasformare una supposta battaglia vinta in una guerra persa, e così è stato. Al punto che, il 27 Luglio 2013 sulla gazzetta ufficiale è stato addirittura pubblicato il quesito referendario intitolato “Volete voi che sia abrogata interamente la legge 20 febbraio 1958, n. 75, intitolata Abolizione della regolamentazione della prostituzione e lotta contro lo sfruttamento della prostituzione altrui?”. Non sta a noi dibattere su questo, che coinvolge tanta parte di società civile. Si tratta però di recepire un segnale: in uno Stato di diritto i settori più appetiti dalla malavita devono essere regolamentati a 360 gradi, mettendo da parte tutte le ipocrisie del caso. Gli enti locali rivedessero in quest’ottica un possibile ruolo nella filiera del gioco, ed invece di pensare esclusivamente ad un inutile propaganda politica, riflettere e desistere dal voler regolamentare in proprio un settore, che è già ampiamente ben regolamentato.

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