Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania (Sezione Quinta) ha respinto – tramite sentenza – il ricorso presentato contro Questura di Napoli, Ministero dell’Interno, in cui si chiedeva per quanto riguarda il ricorso introduttivo: per la declaratoria di illegittimità del silenzio inadempimento serbato della Questura di Napoli sulle note ex art. 10 bis L. 241/90 depositate dalla ricorrente in data 27 luglio 2020 e sulla correlativa condanna a provvedere sull’istanza di parte ricorrente, relativa all’autorizzazione per l’esercizio di raccolta delle scommesse, nonché per la condanna della medesima Questura alla corresponsione dell’indennizzo di cui all’art. 2 bis comma 1 bis l. 241/90; per quanto riguarda i motivi aggiunti per l’annullamento, previa sospensione dell’efficacia, del provvedimento della Questura di Napoli n. prot. Cat.11.E/2020, notificato in data 7 dicembre 2020.
Si legge: “E’ noto che la fattispecie dell’indennizzo da ritardo va nettamente distinta da quella prevista dal comma 1 dell’art. 2-bis della L. n. 241 del 1990, introdotto dall’art. 7, comma 1, lettera c), della L. 18 giugno 2009, n. 69, atteso che, mentre il risarcimento presuppone la prova del danno e del comportamento colposo o doloso dell’amministrazione nonché del nesso di causalità, la fattispecie dell’indennizzo da ritardo prescinde dalla dimostrazione dei suddetti elementi, essendo sufficiente il solo superamento del termine di conclusione del procedimento.
Tuttavia, occorre evidenziare che, al fine del riconoscimento del diritto all’indennizzo, l’interessato, una volta scaduti i termini per la conclusione del procedimento e nel termine perentorio di 20 giorni dalla scadenza del termine entro il quale il procedimento si sarebbe dovuto concludere, deve ricorrere all’Autorità titolare del potere sostitutivo di cui all’art. 2, comma 9-bis, L. n. 241 del 1990, richiedendo l’emanazione del provvedimento non adottato (cfr. art. 28, secondo comma, del D.L. n. 69 del 2013 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 98 del 2013).
Orbene, parte ricorrente non ha assolto all’onere prescritto dalla richiamata disposizione nel termine ivi indicato, onde la domanda di corresponsione dell’indennizzo non può trovare accoglimento (in senso analogo, cfr. T.A.R. Campania – Napoli, sez. I, sent. 16.06.2020, n. 2417).
Quanto all’infondatezza del ricorso per motivi aggiunti, basti osservare come la prospettazione attorea muova da una errata lettura del disposto dell’art. 7 comma 5 della L.R. n. 2 del 2020, sulla base della considerazione che, nelle more della scadenza del termine assegnato ai Comuni per adeguare le proprie prescrizioni alla L.R. n. 2 del 2020, continuerebbero ad applicarsi le contrastanti disposizioni comunali, che pertanto, a seguire detta prospettazione, sarebbero dotate di un’efficacia ultrattiva anche per un profilo – quella della distanza dai luoghi sensibili degli esercizi che offrono gioco in concessione statale – che a norma dell’art. 4 comma 1 della medesima L.R. è riservato alla competenza regionale, posto che l’indicata L.R. n. 2 del 2020 è entrata in vigore il giorno successivo alla sua pubblicazione nel Bollettino ufficiale della Regione Campania, ai sensi dell’art. 25 della medesima L.R., ovvero in data 4 marzo 2020, in data pertanto antecedente alla presentazione da parte della società ricorrente dell’istanza volta al rilascio della licenza ex art. 88 T.U.L.P.S..
La prospettazione di parte ricorrente è del tutto errata, come claris verbis desumibile dal disposto dell’art. 13 della medesima L.R. laddove afferma “1. In attuazione degli indirizzi normativi richiamati all’articolo 1, comma 2 è vietata la nuova apertura di attività previste all’articolo 3 site ad una distanza da luoghi sensibili inferiore a duecentocinquanta metri misurati dagli ingressi principali degli edifici. La distanza è calcolata secondo criteri che tengono conto degli assi viari e, pertanto, sulla base delle distanze pedonali più brevi.
Le disposizioni regolanti la localizzazione delle attività di cui all’articolo 3 non sono applicabili alle attività già esistenti alla data di entrata in vigore della presente legge a condizione che le stesse siano dotate o si dotano, entro duecentoquaranta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, di:
a) possibilità di accesso selettivo all’offerta di gioco con identificazione della maggiore età secondo le modalità previste dalla legge;
b) videosorveglianza dell’area con apparecchi per il gioco nel rispetto della normativa vigente sulla tutela dei dati personali;
c) modalità di comunicazione al pubblico esclusivamente informativa dei prodotti di gioco e priva di messaggi di induzione al consumo di gioco;
d) certificazione della partecipazione dei titolari delle attività regolate dalla presente legge e del personale ai corsi di formazione di cui all’articolo 18; tale certificazione, ove non già disponibile, è necessaria a partire dal primo anno successivo dalla attivazione delle attività formative regionali.
Le disposizioni regolanti la localizzazione delle attività non si applicano altresì agli esercizi già titolari di concessioni statali ai sensi della legge 22 dicembre 1957, n. 1293 (Organizzazione dei servizi di distribuzione e vendita dei generi di monopolio) a condizione che gli apparecchi per il gioco siano collocati nell’area di vendita in posizione sottoposta al controllo visivo del titolare o di personale adeguatamente formato e non in aree materialmente o visivamente separate.
Le disposizioni regolanti la localizzazione delle attività si applicano alle attività esistenti autorizzate ai sensi dell’articolo 86 del r.d. 773/1931 nei casi in cui l’ingresso principale delle stesse sia collocato ad una distanza inferiore ai duecentocinquanta metri dall’ingresso principale del luogo sensibile, se entrambi i luoghi sono posti sulla facciata del medesimo edificio. Gli esercizi che si trovano in tali condizioni hanno facoltà di continuare l’attività nella medesima sede per non più di dodici mesi dalla data di entrata in vigore della presente legge.
Il trasferimento di sede delle attività regolate dalla presente legge è sottoposto alla disciplina delle distanze di cui al comma 1…”.
Detto disposto normativo va, a sua volta, letto in combinato disposto con la previsione sulla localizzazione, di cui al richiamato art. 3, nella parte in cui prevede che “1. Ai sensi e per gli effetti della presente legge, si intende per: p) luoghi sensibili: luoghi in cui è vietata l’offerta di gioco lecito a una distanza inferiore a duecentocinquanta metri:
1. gli istituti scolastici o formativi di qualsiasi ordine e grado, comprese le scuole dell’infanzia e i nidi d’infanzia;
2. le strutture sanitarie e ospedaliere, incluse quelle dedicate all’accoglienza, all’assistenza e al recupero di soggetti affetti da qualsiasi forma di dipendenza o in particolari condizioni di disagio sociale o che comunque fanno parte di categorie protette;
3. le strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario, scolastico o socio-assistenziale;
4. i luoghi di culto”.
Dal combinato disposto di tali norme, da leggersi alla luce di quanto previsto nell’art. 4 comma 1 della medesima L.R. che statuisce che “La Regione, per il perseguimento delle finalità di cui all’articolo 1, disciplina le attività degli esercizi che offrono gioco in concessione statale attraverso la regolamentazione delle distanze da luoghi sensibili, delle modalità di controllo del consumo di gioco e degli orari di esercizio, con particolare attenzione alla tutela dei minori e delle fasce vulnerabili della popolazione…” si evince come la sopravvenuta legge regionale, quanto all’inderogabile limite delle distanze dai luoghi sensibili, configurato in termini di “divieto”, possa incidere, alle indicate condizioni, finanche sulle attività già autorizzate, per cui a fortiori non è dato dubitare della sua immediata applicabilità in relazione alle istanze presentate dopo la sua entrata in vigore, sebbene nelle more del termine assegnato ai Comuni per adeguare i loro regolamenti alla sopravvenuta L.R.; ciò in quanto il disposto invocato da parte ricorrente di cui all’art. 7 comma 5 della L.R. de qua deve per contro intendersi limitato ai profili di competenza comunale di cui al medesimo art. 7 e per quel che rileva in relazione al profilo della distanza dai luoghi sensibili, in relazione alla sola facoltà, evincibile dall’art. 7 comma 1 lett b), di fissare una distanza maggiore rispetto a quella fissata dalla L.R., che deve intendersi come distanza minima di carattere immediatamente cogente ai sensi del combinato disposto degli artt. 3 e 13, con effetto pertanto immediatamente sostituivo rispetto alle difformi previsioni contenute nei regolamenti comunali, come chiaramente evincibile dalla disciplina transitoria dettata dal medesimo art. 13.
Ed invero ai sensi del cennato art. 7 comma 1 lett b) “I comuni, nel dare attuazione alla presente legge: hanno facoltà di regolamentare le distanze dai luoghi sensibili garantendo gli standard previsti all’articolo 13 e gli orari di chiusura delle attività indicate all’articolo 3 nel rispetto dei limiti posti dall’articolo 13 per garantire esigenze di uniformità sul territorio regionale”;
Dalla combinata lettura di tutte le norme della L.R. de qua si evince che le norme medesime, negli aspetti di competenza regionale, quali individuati nell’art. 4, trovino immediata applicazione, con prevalenza sulle contrastanti disposizioni regolamentari dei Comuni, alla luce dell’indicata disciplina transitoria nonché del principio per cui “lex superior derogat inferiori”, come peraltro palesato dall’art. 25 della medesima L.R., laddove, nel prevedere la sua immediata entrata in vigore il giorno successivo alla pubblicazione nel BURC, sancisce “È fatto obbligo a chiunque spetti, di osservarla e di farla osservare come legge della Regione Campania”.
Ciò posto, il provvedimento della Questura, motivato sulla base del rilievo dell’immediata applicabilità delle norme della L.R. n. 2 del 2020, si appalesa del tutto legittimo, posto che l’istanza del ricorrente non era meritevole di accoglimento in applicazione di tale cogente normativa, anche a volere seguire la prospettazione attorea, secondo la quale dovrebbe applicarsi la legge vigente al momento della presentazione dell’istanza, atteso che a tale momento era già entrata in vigore la L.R. n. 2 del 2020, dotata di immediata applicabilità, in virtù della disciplina transitoria recata dal menzionato art. 13, e destinata, pertanto, a prevalere sulle contrastanti disposizioni regolamentari comunali.
Pertanto la pretesa attorea è destituita di fondamento, anche a volere applicare l’orientamento giurisprudenziale secondo il quale “il principio “tempus regit actum” va coniugato con le problematiche connesse allo ius superveniens e, pertanto, non comporta che il procedimento amministrativo, ove non si esaurisca con l’immediata pronuncia conclusiva, debba essere definito in conformità alla disciplina vigente al momento della adozione del provvedimento finale … Premesso che il legislatore, quando modifica una disciplina preesistente, prevede di norma un regime transitorio per i rapporti già in corso e non ancora esauriti, la P.A., ad avviso del Collegio, ove manchi il regime transitorio, deve applicare i principi generali in tema di successione di norme e di perfezionamento del procedimento amministrativo.
Pertanto, in caso di modifiche normative in corso di procedimento, considerata l’unitarietà del procedimento amministrativo, primarie esigenze di certezza del diritto richiedono di cristallizzare il regime normativo al momento dell’atto di avvio del procedimento … Come affermato in più occasioni da questo Giudice di secondo grado in tema di procedure concorsuali con argomentazioni, che, comunque, il Collegio ritiene pertinenti anche a questa tipologia di procedimento, il principio “tempus regit actum” attiene, come corollario indefettibile, alle sequenze procedimentali composte di atti dotati di propria autonomia funzionale, ma non anche ad attività amministrative, che, pur essendo interamente disciplinate dalle norme vigenti al momento in cui essa ha inizio, comunque, in relazione alle esigenze endoprocedimentali, richiedono un congruo periodo di tempo per verificare l’esistenza dei presupposti necessari all’adozione del provvedimento conclusivo.
Quindi, ad avviso del Collegio, nei procedimenti instaurati a seguito di istanza del singolo, per ampliare la propria sfera giuridica, per individuare la disciplina applicabile per l’adozione del provvedimento conclusivo, occorre riferirsi ai requisiti previsti dal quadro normativo vigente all’epoca della presentazione della domanda, escludendo, pertanto, l’applicabilità delle modifiche normative sopravvenute”.
Ciò in quanto, come detto, al momento della presentazione dell’istanza doveva intendersi già applicabile la superiore normativa recata dalla L.R. n. 2 del 2020, come claris verbis evincibile dall’analisi dell’art. 13 del medesimo testo normativo.
Pertanto alcun legittimo affidamento poteva nutrire parte ricorrente, la cui istanza è stata presentata in data successiva all’entrata in vigore di tale L.R., in ordine all’accoglibilità della medesima.
Il ricorso per motivi aggiunti va pertanto rigettato.
Le spese di lite seguono la soccombenza, e si liquidano come da dispositivo, avuto riguardo all’infondatezza del ricorso per motivi aggiunti e della domanda di liquidazione dell’indennizzo da ritardo mero, contenuta nel ricorso introduttivo, nonché dell’originaria inammissibilità dell’azione sul silenzio contenuta nel ricorso introduttivo, in quanto relativa ad un’istanza manifestamente infondata, questione questa che ben può essere presa in considerazione, a prescindere dalla improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse della medesima azione, ai fini della liquidazione delle spese di lite, alla luce del principio della soccombenza virtuale.
E’ infatti noto che la declaratoria di improcedibilità per sopravvenuta carenza di interesse, al pari di quella per cessazione della materia del contendere, non può esimere il giudice, alla stregua del criterio della soccombenza virtuale, in mancanza di un espresso accordo delle parti sulla compensazione delle spese, dal prendere in esame le questioni sollevate dalla parte ricorrente, per valutarne la fondatezza al solo fine di regolare, in base al principio della soccombenza, le spese del giudizio (ex multis T.A.R. Campania, Napoli, sez. IV, 21/01/2016, n. 350).
Il collegio ritiene al riguardo di seguire l’orientamento giurisprudenziale, formatosi in relazione all’azione sul silenzio, secondo il quale “Il giudice amministrativo può conoscere della fondatezza dell’istanza nelle ipotesi di manifesta fondatezza, allorché siano richiesti provvedimenti amministrativi dovuti o vincolati in cui non c’è da compiere alcuna scelta discrezionale che potrebbe sfociare in diverse soluzioni, e di manifesta infondatezza, sicché risulti del tutto diseconomico obbligare la P.A. a provvedere laddove l’atto espresso non potrà che essere di rigetto” (ex multis, T.A.R. Campania – Napoli, Sez. VIII, 01/10/2020, n. 4136).
P.Q.M.
Il Tribunale Amministrativo Regionale della Campania, Napoli, (Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sui ricorso, come in epigrafe proposto e integrato da motivi aggiunti, dichiara improcedibile l’azione sul silenzio contenuta nel ricorso introduttivo e rigetta la domanda di condanna alla corresponsione dell’indennizzo ex art. 2 bis comma 1 bis l. 241/90 ivi contenuta; rigetta il ricorso per motivi aggiunti”.