Cassazione e prima applicazione del Decreto Balduzzi di Stefano Sbordoni

(Jamma) L’art. 7, comma 3-quater del D.L. n. 158/12 –c.d. Decreto Balduzzi- recante “Disposizioni urgenti per promuovere lo sviluppo del Paese mediante un più alto livello di tutela della salute” convertito con integrazione e modificazioni dalla Legge n.189/12, vieta la messa a disposizione presso qualsiasi esercizio commerciale di apparecchiature che attraverso la connessione telematica consentano ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco offerte dai concessionari on line, da soggetti autorizzati all’esercizio dei giochi a distanza ovvero da soggetti privi di qualsiasi titolo concessorio od autorizzatorio rilasciato dalle competenti autorità, facendo salve le sanzioni previsti nei confronti di chiunque eserciti illecitamente attività di offerta di giochi con vincita in denaro. La lettura è complessa, ed il punto merita alcune riflessioni di natura squisitamente giuridica. La prima: la norma prevede il divieto ma non contempla la sanzione. Gli addetti ai lavori – quelli che poi sul campo sono chiamati ad applicare la normativa del settore – con azzardo interpretativo, hanno individuato la sanzione da applicare in caso di violazione del dl Balduzzi all’art. 110, comma 9 lett f -ter, TULPS che, come è noto, stabilisce che: “chiunque, sul territorio nazionale, distribuisce o installa o comunque consente l’uso in luoghi pubblici o aperti al pubblico o in circoli ed associazioni di qualunque specie di apparecchi videoterminali non rispondenti alle caratteristiche e alle prescrizioni indicate nel comma 6, lettera b), e nelle disposizioni di legge e amministrative attuative di detta disposizione, e’ punito con la sanzione amministrativa pecuniaria da 5.000 a 50.000 euro per ciascun apparecchio videoterminale”. La disposizione del menzionato articolo fa riferimento agli apparecchi da intrattenimento contemplati all’art. 110 e non certamente ai pc od altri similari congegni elettronici che non hanno alcuna caratteristica in comune con VLT e AWP. Il ruolo dell’interprete non è certo facile, ma a volte il rischio è quello di complicarsi la vita. Se è vero che il decreto Balduzzi, almeno in relazione al divieto di apparecchi, non contempla un apparato sanzionatorio che si cerca di individuare, è vero pure che lo scorso febbraio il Garante della Privacy, interessato sull’utilizzo dei dati personali, nel confermare l’abrogazione del decreto Pisanu che prevedeva l’obbligo della registrazione dei documenti dei clienti, ha stabilito che i pubblici esercizi come ristoranti e bar possono mettere a disposizione dei clienti il wi-fi libero, ma anche dispositivi per navigare sul web con richiesta di utilizzo di connettività internet.

Si puo dedurre dunque che l’interpretazione fornita dall’Autorità garante sollevi i gestori dei locali da responsabilità in tal senso (fatto salvo sempre il divieto di intermediazione), e ribadisca come i dati personali dei clienti non possano essere utilizzati senza apposito consenso. Ciò conferma come l’art. 7, comma 3-quater del D.L. n. 158/12 –c.d. Decreto Balduzzi- sia norma ibrida, in odore di contrasto con i dettami costituzionali che stabiliscono la libertà della persona e dell’impresa. Nell’era del wi-fi libero nel nostro Paese rimane difficile immaginare di vietare l’utilizzo di internet all’interno dei locali pubblici. Peraltro, riguardo l’interpretazione del menzionato principio del Decreto Balduzzi, la Corte di Cassazione, III sez. penale, con la pronuncia del 26 luglio 2013, depositata il 1 ottobre 2013, ha stabilito che “La sola predisposizione presso qualsiasi esercizio di apparecchiature che, attraverso la connessione telematica, consentono ai clienti di giocare sulle piattaforme di gioco messe a disposizione dai concessionari online in violazione del divieto dell’articolo 7, comma 3-quater, del Dl 158/2012 non configura la contravvenzione di cui all’articolo 4 della legge 401/89 essendo al contrario necessario la predisposizione di personale e mezzi conformata in modo tale da concretare la condotta di organizzazione, esercizio e raccolta a distanza di giochi richiesta da tale disposizione”.

Le riflessioni sono d’obbligo, e la questione non si liquida facilmente. I cambi di indirizzo in tal senso, la confusione tra giurisprudenza comunitaria sui CTD e quella nazionale sull’online, oltre alle ondivaghe strategie del mercato c.d. storico, hanno portato alla situazione attuale di nodo gordiano. Ma la spada con cui tagliarlo, se deve essere la Balduzzi, non è affilata: un po sfilaccia e un po rimbalza. Difficile per chi fosse investito della questione, con gli strumenti attualmente a disposizione, vedere la differenza nell’utilizzo di servizi di gioco – offerti da un concessionario autorizzato all’uopo da ADM -, dal pc di casa oppure da un altro messo a disposizione (senza alcuna intermediazione naturalmente!) del barista sotto casa. Il principio statuito dal decreto Balduzzi in tema di divieto di apparecchi rischia dunque di travolgere causa la sua incompletezza il senso per il quale è stato emanato, e di non riuscire a bloccare la canalizzazione di gioco in circuiti illeciti.

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