Il Tar del Lazio ha accolto il ricorso di Global Starnet, concessionaria di rete slot e Vlt, contro il diniego da parte dell’ADM a fornire la documentazione dell’accordo transattivo con cui ha concordato la definizione in via bonaria della partita a seguito della condanna da parte della Corte dei conti per violazione delle norme e degli obblighi concessori sul controllo del gioco lecito.
La vicenda si riferisce alla situazione debitoria di Global Starnet a seguito della sentenza della Corte dei conti, condannata per violazione delle norme e degli obblighi concessori sul controllo del gioco lecito.
Tra il 2016 ed il 2017 i beni della Global venivano sottoposti dal G.I.P. del Tribunale di Roma a sequestro preventivo, con la nomina di relativi amministratori giudiziari autorizzati ad operare in relazione al relativo compendio.
Nel frattempo, l’Agenzia delle accise, delle dogane e dei monopoli disponeva la decadenza della Global dalla concessione, che veniva tempestivamente impugnato dalla società, con giudizio tutt’ora pendente innanzi alla Corte di Cassazione.
L’Agenzia, fin dal settembre 2017, disponeva che la Global potesse continuare a svolgere l’attività in essere di conduzione della rete telematica, peraltro poi revocando le restrizioni inizialmente stabilite “vista la garanzia delle ragioni erariali fornita dagli Amministratori Giudiziari”, anche in ragione del parere al riguardo reso dell’Avvocatura Generale dello Stato, secondo cui “la presenza degli Amministratori Giudiziari sembra … offrire una sufficiente garanzia della tutela delle ragioni e degli interessi erariali e del loro migliore proseguimento”.
Da ultimo, il provvedimento di decadenza nonché i successivi atti volti a darvi attuazione venivano sospesi dall’Agenzia ai fini della prosecuzione dell’attività fino alla relativa decisione della Corte di Cassazione.
Nel frattempo, la Global – avendo appreso che un’altra società ha sottoscritto con l’Agenzia un accordo transattivo con cui ha concordato la definizione in via bonaria della partita debitoria con istanza del 3 ottobre 2022, dichiarava di essere “intenzionata a proporre ad ADM analoga transazione a saldo e stralcio del debito scaturente dalla predetta sentenza, richiedeva all’ADM “rilascio di copia della transazione stipulata tra ADM e altra concessionaria”.
L’amministrazione intimata mai riscontrava tale richiesta.
L’amministrazione si costituiva in giudizio, ribadendo l’assenza in capo a parte ricorrente di un interesse diretto, qualificato e differenziato all’accesso e, in ogni caso, la mancata utilità dell’ostensione.
Il Tar Lazio evidenzia:
l’accesso ai documenti amministrativi, attese le sue rilevanti finalità di pubblico interesse, costituisce “principio generale dell’attività amministrativa” al fine di favorire la partecipazione dei cittadini alla gestione della cosa pubblica e di assicurarne l’imparzialità e la trasparenza dell’azione amministrativa (art. 22 comma 2, della l. n. 241/1990).
Sono peraltro accessibili, in linea di principio, “tutti i documenti amministrativi” (art. 22, comma 3) che siano detenuti da una pubblica amministrazione e che concernano attività di pubblico interesse, “indipendentemente dalla natura pubblicistica o privatistica della loro disciplina sostanziale” (art. 22, comma 1, lett. d).
Sono, dunque, sottratte all’accesso solo le categorie di documenti tassativamente previste al successivo art. 24 della l. n. 241/1990 (documenti coperti da segreto di Stato, atti del procedimento tributario, atti prodromici all’emanazione di atti normativi, atti amministrativi generali, di pianificazione e di programmazione, documenti relativi a procedimenti selettivi contenenti informazioni di carattere psicoattitudinale relativi a terzi), nonché quelle tassativamente individuate in apposito regolamento governativo a tutela di preminenti interessi pubblici (quali la sicurezza e la difesa nazionale, la politica monetaria e valutaria, l’ordine pubblico, la riservatezza di persone fisiche e giuridiche).
Inoltre, anche nel caso in cui l’accesso possa interferire con l’esigenza di tutela della riservatezza di terzi, esso “deve comunque essere garantito” laddove la conoscenza del documento “sia necessaria per curare o per difendere i propri interessi giuridici”, con la precisazione che qualora il documento contenga “dati sensibili o giudiziari”, l’accesso è consentito nei limiti in cui sia “strettamente indispensabile” (art. 24, comma 7).
Sotto il profilo soggettivo, inoltre, il diritto di accesso presuppone che colui il quale lo esercita sia portatore di “un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata al documento al quale è chiesto l’accesso” (art. 22, comma 1, lett. b), e che l’accesso non sia preordinato ad esercitare “un controllo generalizzato dell’operato delle pubbliche amministrazioni” (art. 24, comma 3).
Ciò premesso ritiene il Collegio che il ricorso proposto sia meritevole di accoglimento, avendo parte ricorrente sufficientemente argomentato e documentato un proprio interesse diretto, concreto ed attuale, quanto meno strumentale, alla tutela di una situazione giuridicamente rilevante collegata ai documenti oggetto dell’istanza ostensiva.
Diversamente da quanto affermato dall’amministrazione resistente, la ricorrente è portatrice di un interesse qualificato e differenziato a conoscere le modalità ed i termini secondo i quali la posizione di altra società sia stata definita transattivamente dall’ADM.
Deve, infatti, essere disattesa la tesi proposta dall’Avvocatura di onerare la parte interessata della prova rigorosa della necessità della conoscenza dei documenti richiesti per curare e difendere i propri interessi giuridici, dal momento che, così opinando, il requisito della “necessarietà” previsto all’art. 24, comma 7, finirebbe per poter essere dimostrato dall’interessata solo nel caso in cui essa avesse già piena cognizione del contenuto dei documenti ai quali chiede di accedere, eventualità in cui paradossalmente deve però in radice negarsi l’esistenza di un interesse concreto all’ostensione.
“Nel caso di specie, la ricorrente ha dedotto la titolarità di un rapporto sostanziale speculare a quello fatto oggetto dell’accordo transattivo, in quanto correlato ad un’esposizione debitoria che, seppur di più rilevante importo, condivide con quella dell’altra concessionaria la medesima causale, trattandosi in entrambi i casi di debito erariale accertato (peraltro nell’ambito della stessa pronuncia)…”.
Ritiene, pertanto, il Collegio che la prospettazione di parte ricorrente sia ragionevole e plausibile e che tanto basti a dimostrare la necessità dell’accesso, nel senso ragionevolmente evincibile dal citato art. 24 comma 7.
Nemmeno vengono in rilievo, nel caso di specie, le categorie particolari di dati, con riferimento alle quali l’accesso può essere limitato, di cui agli artt. 9 e 10 del Regolamento (UE) 2016/679 ma solo dati economici e finanziari relativi ad una transazione commerciale.
Del tutto inconferenti appaiono, infine, le argomentazioni largamente spese dall’Avvocatura – sia in atti che in sede di discussione – in merito alla piena discrezionalità riservata all’amministrazione nel decidere se ricorrere o meno, nel condurre l’azione di recupero del credito, anche alla conclusione di un accordo transattivo, riguardando la pretesa di cui si discorre il diritto di parte ricorrente all’accesso e non anche il diritto della stessa parte a transigere, mantenendo integra l’amministrazione la facoltà di accedere a tale strumento.
“Conclusivamente, alla stregua di tutte le considerazioni fin qui svolte, ritiene il Collegio che esistano i presupposti per accogliere il ricorso in epigrafe e, per l’effetto annullare atti impugnati e ordinare all’amministrazione resistente, l’esibizione di copia della documentazione indicata nell’istanza del 3 ottobre 2022, consentendone l’accesso, entro trenta giorni dalla comunicazione o notificazione della presente sentenza, mediante visione e rilascio di copia a spese dell’istante”.