Il Consiglio di Stato ha respinto – tramite sentenza – il ricorso del Comune di Varese contro una società del settore giochi in cui si chiedeva la riforma della sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia n. 2308/2012, resa tra le parti e concernente ordinanza su sale giochi e apparecchi per il gioco.
Si legge: “Con atto d’appello notificato in data 8 marzo 2013 (data di spedizione) il Comune di Varese ha impugnato la sentenza del Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia n. 2308/2012, depositata il 13 settembre 2012, la quale – compensando le spese e fermo l’onere di rimborso del contributo unificato a carico della parte soccombente – ha accolto il ricorso n. 2219/2011 proposto dagli appellanti per l’annullamento dell’ordinanza prot. n. 6/0022060 del 5 aprile 2011, avente ad oggetto “Tutela dell’utenza sociale nell’utilizzo degli apparecchi per il gioco”.
L’impugnata ordinanza recava questa motivazione:
“Ritenuto necessario adottare apposita ordinanza sindacale per la contingibilità del fenomeno, con l’obiettivo di:
• disciplinare ulteriormente, a livello comunale, le modalità di utilizzo dei giochi;
• limitare l’accesso agli apparecchi da gioco e, ove possibile, dissuadere dall’utilizzo degli stessi, in special modo da parte delle fasce più a rischio e/o in condizione di maggiore fragilità sociale, rendendo obbligatoria una forma di pubblicità, all’interno di ogni esercizio, riguardo la pericolosità di assuefazione e abuso, che possa scaturire dall’uso per soggetti psicologicamente deboli;”;
e statuiva quanto segue:
“i titolari di sale giochi, per le motivazioni espresse in premessa, oltre all’osservanza dei criteri transitori per il rilascio delle relative autorizzazioni di polizia, adottati con deliberazione della Giunta comunale n.313 del 25.5.2010, hanno l’obbligo di;
• esporre il cartello indicante gli orari di esercizio dell’attività in modo visibile dall’ esterno;
• rispettare la fascia oraria di apertura/chiusura stabilita ai sensi dell’art.50, comma 7, d.lgs. 267/20001 come segue: dalle h. 9 alle h. 22,00;
• apporre agli ingressi e all’interno dei locali, secondo le indicazioni dell’Amministrazione comunale, locandine/manifesti che indichino la pericolosità di assuefazione e abuso e alcuni numeri di pubblica utilità relativi alla problematica del gioco d’azzardo patologico.
L’apertura di sale giochi non potrà essere autorizzata ad una distanza inferiore a metri 200 da scuole, ospedali, luoghi di culto. La distanza verrà calcolata seguendo il percorso stradale più breve.
L’installazione degli apparecchi per il gioco è vietata negli esercizi commerciali ed è consentita esclusivamente all’interno degli esercizi pubblici.
Per gli esercizi pubblici di sale giochi non è consentito il rilascio di autorizzazioni per occupazione suolo pubblico. Non è altresì consentito l’utilizzo di aree esterne, anche se private, per l’installazione dei giochi,
È fatto divieto per i titolari ·di sala giochi di pubblicizzare l’attività con insegne, cartelli o altro, utilizzando il termine “casinò”, slot machine o termini che richiamino i giochi d’azzardo.
Salvo che il fatto costituisca reato, le violazioni a quanto previsto dalla presente Ordinanza sono punite come segue:
A. mancato rispetto degli orari di apertura e/o chiusura della sala giochi: sanzione amministrativa da Euro 516,00 a Euro 3.098,00, ai sensi dell’art.9 del Tulps;
B. omessa esposizione del cartello orario: sanzione amministrativa da Euro 516,00 a Euro 3.098,00, ai sensi dell’art. 9 del Tulps;
C. mancata esposizione delle locandine/manifesti che indichino la pericolosità di assuefazione e abuso e alcuni numeri di pubblica utilità relativi alla problematica del gioco d’azzardo patologico: sanzione da Euro 25,00 a Euro 500,00, ai sensi dell’art.7 bis del d.lgs. 267/2000”.
La sentenza ha assorbito il primo ed il quarto motivo dei quattro contenuti in ricorso, ed ha ritenuto fondate e assorbenti le doglianze, contenute nel secondo e nel terzo motivo, le quali denunciavano la violazione e falsa applicazione degli artt. 50 e 54 del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267.
L’appello contesta la sentenza appellata sostenendo la legittimità dell’atto impugnato in primo grado, e chiede:
1) in via pregiudiziale la rimessione degli atti di causa alla Corte costituzionale per la rilevanza e non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del citato decreto legislativo n. 267/2010 in relazione agli articoli 32 e 118 della Costituzione, nella parte in cui la disposizione contestata comporta grave situazione di assenza di principi normativi a contrasto della ludopatìa, escludendo la competenza dei Comuni ad adottare atti normativi e provvedimentali volti a limitare l’uso degli apparecchi da gioco di cui all’art. 110, comma 6, del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773;
2) nel merito, riformare/annullare la sentenza appellata per i motivi esposti in narrativa.
La (…) si è costituita con memoria in data 8 maggio 2013 deducendo:
– inammissibilità dell’appello – violazione dell’art. 101 del codice del processo amministrativo;
– nel merito la manifesta infondatezza dell’appello;
– la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267/2001, trattandosi di novum soggetto alla preclusione di cui all’art. 104 del codice del processo amministrativo.
In esito ad avviso di perenzione consegnato in data 8 maggio 2018 parte appellante ha depositato, in data 22 agosto 2018, domanda di fissazione di udienza; nonché documenti in data 20 gennaio 2021 e una memoria in data 29 gennaio 2021.
La causa è passata in decisione all’udienza pubblica del 2 marzo 2021, tenutasi con modalità da remoto ai sensi ai sensi della normativa emergenziale di cui all’art. 25 del decreto-legge 28 ottobre 2020, n. 137, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176 e modificato dall’art. 1, comma 17, del decreto-legge 31 dicembre 2020, n. 183, convertito in legge, con modificazioni, dalla legge 26 febbraio 2021, n. 21.
DIRITTO
1.1 – L’eccezione d’inammissibilità dell’appello, formulata dall’appellata allegando che il gravame viola l’art. 101 del codice del processo amministrativo (sul rilievo che l’appello non avrebbe formulato specifici addebiti alla pronuncia del primo giudice) non è fondata: l’appello contesta con prospettazioni specifiche le statuizioni del Tar relative alla erronea applicazione della normativa di riferimento da parte dell’ordinanza impugnata in primo grado.
L’ulteriore eccezione, pure formulata dall’appellata, d’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale sollevata dall’appellante, per la prima volta in appello, relativamente all’art. 50, comma 7, del testo unico degli enti locali di cui decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267 è parimenti da respingere.
La questione di costituzionalità infatti non è stata formulata per la prima volta da una parte già ricorrente in primo grado (nel qual caso in effetti, se proposta per la prima volta in appello, avrebbe violato il divieto di nuove domande sancito dall’art. 104, comma 1, del codice del processo amministrativo); trattasi invece di eccezione – rilevabile d’ufficio ai sensi dell’art. 1 della legge costituzionale 9 febbraio 1948, n. 1 e dell’art. 23, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 – posta dall’appellata non ricorrente in primo grado, e quindi di eccezione nuova ma rilevabile anche d’ufficio, e pertanto consentita dal medesimo art. 104, comma 1, del codice del processo amministrativo.
1.2 – Peraltro la suddetta questione di costituzionalità dell’art. 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267/2000 è manifestamente infondata.
L’appello sostiene che secondo la tesi più restrittiva seguita dal Tar l’art. 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267/2000 verrebbe a violare in primo luogo l’art. 32 della Costituzione, limitando l’intervento del Comune nelle operazioni di contrasto della ludopatìa, patologia grave e pericolosa per la salute non solo dei ludodipendenti ma anche del nucleo familiare e sociale di riferimento.
L’art. 32 della Costituzione, rileva l’appellante, è norma sia programmatica sia precettiva; e nel sancire la tutela della salute come “diritto fondamentale dell’individuo e interesse della collettività” obbliga lo Stato a promuovere ogni opportuna iniziativa e ad adottare precisi comportamenti finalizzati alla migliore tutela possibile della salute in termini di generalità e di globalità.
E la normativa vigente non tutelerebbe la salute pubblica nel contrasto alla ludopatìa, dal momento che la funzione pubblica relativa non terrebbe conto delle autorizzazioni all’uso di apparecchiature per il gioco d’azzardo, rilasciate in data anteriore alla disciplina di conversione del decreto-legge 13 settembre 2012, n. 158 (n.d.r.: vigente alla data dell’appello, ed il cui art. 5 prevedeva l’aggiornamento dei “livelli essenziali di assistenza con riferimento alle prestazioni di prevenzione, cura e riabilitazione rivolte alle persone affette da ludopatìa, intesa come patologia che caratterizza i soggetti affetti da sindrome da gioco con vincita in denaro, così come definita dall’Organizzazione mondiale della sanità (G.A.P.)”).
E negando, secondo l’interpretazione del Tar, la possibilità di intervento al Sindaco, l’art. 50 comma 7, del decreto legislativo n. 267/2001 prevaricherebbe anche il· ruolo riconosciuto all’Ente appellante dall’art. 118 della Costituzione, spettando ai Comuni, in quanto enti pubblici più vicini ai cittadini e ai problemi pratici della vita quotidiana, perseguire, secondo i canoni di economicità, efficacia ed efficienza, i fini posti dalle leggi.
E, prosegue l’appello, per un diretto riconoscimento costituzionale del ruolo dei Comuni la Corte costituzionale si è pronunciata con la sentenza n. 14 del 2012, rilevando che il Comune, nell’esercizio della propria potestà di pianificazione del territorio e delle attività economiche che possono interferire con la salute e gli interessi a un equilibrato ambiente urbano, può individuare limitazioni e destinazioni ulteriori e diverse rispetto a quelle predefinite dalla legislazione nazionale e regionale.
Si osserva che queste prospettazioni d’illegittimità costituzionale si rifanno espressamente a quelle già sottoposte alla Corte dal Tribunale amministrativo regionale per il Piemonte con ordinanza 18 settembre 2012, n. 990, la quale – così come ora l’appellante – dubitava, con riferimento agli artt. 32 e 118 della Costituzione, della legittimità dell’art. 50, comma 7, del d.lgs. n. 267 del 2001 nella parte in cui non prevede che i relativi poteri potessero essere esercitati con finalità di contrasto del fenomeno del gioco di azzardo patologico.
Su quella ordinanza di rimessione la Corte costituzionale si è pronunciata, rilevandone l’inammissibilità, con sentenza n. 220 del 2014, di natura interpretativa.
In proposito la Corte ha precisato che l’evoluzione della giurisprudenza amministrativa ha elaborato un’interpretazione dell’art. 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267 del 2000 compatibile con i principi costituzionali, perché disposizione in sintonia con il potere comunale di pianificazione e governo del territorio, valutando anche le esigenze di tutela della salute e quindi della vita salubre degli abitanti (v. da ultimo, in senso conforme, Cons. Stato, Sez. V, 4 dicembre 2019, n. 8298).
Pertanto la questione di legittimità costituzionale qui formulata risulta priva del requisito della non manifesta infondatezza, e la tematica sollevata dall’appellante Comune riguarda piuttosto l’interpretazione delle disposizioni normative da esso applicate con l’atto impugnato primo grado.
Può aggiungersi che la stessa Corte costituzionale – con riferimento alla disciplina dei giochi leciti e delle modalità di installazione e utilizzo dei relativi apparecchi sotto il profilo dell’ordine pubblico e della sicurezza e delle finalità di prevenzione dei reati (profili che appaiono presenti, sia pure non in modo totalmente caratterizzante, anche nell’atto impugnato in primo grado: v. infra) – ha avuto modo di precisare più volte (v., per tutte, la sentenza n. 27 del 2019) che la materia è da ascrivere alla potestà legislativa esclusiva dello Stato.
2. – Nel merito l’appello è infondato.
L’impugnata ordinanza recava questa motivazione:
“Ritenuto necessario adottare apposita ordinanza sindacale per la contingibilità del fenomeno, con l’obiettivo di: ·
• disciplinare ulteriormente, a livello comunale, le modalità di utilizzo dei giochi;
• limitare l’accesso agli apparecchi da gioco e, ove possibile, dissuadere dall’utilizzo degli stessi, in special modo da parte delle fasce più a rischio e/o in condizione di maggiore fragilità sociale, rendendo obbligatoria una forma di pubblicità, all’interno di ogni esercizio, riguardo la pericolosità di assuefazione e abuso, che possa scaturire dall’uso per soggetti psicologicamente deboli;”;
e statuiva quanto segue:
“i titolari di sale giochi, per le motivazioni espresse in premessa, oltre all’osservanza dei criteri transitori per il rilascio delle relative autorizzazioni di polizia, adottati con deliberazione della Giunta comunale n.313 del 25.5.2010, hanno l’obbligo di;
• esporre il cartello indicante gli orari di esercizio dell’attività in modo visibile dall’ esterno; ·
• rispettare la fascia oraria di apertura/chiusura stabilita ai sensi dell’art.50, comma 7, d.lgs. 267/20001 come segue: dalle h. 9 alle h. 22,00;
• apporre agli ingressi e all’interno dei locali, secondo le indicazioni dell’Amministrazione comunale, locandine/manifesti che indichino la pericolosità di assuefazione e abuso e alcuni numeri di pubblica utilità relativi alla problematica del gioco d’azzardo patologico.
L’apertura di sale giochi non potrà essere autorizzata ad una distanza inferiore a metri 200 da scuole, ospedali, luoghi di culto. La distanza verrà calcolata ·seguendo il percorso stradale più breve.
L’installazione degli apparecchi per il gioco è vietata negli esercizi commerciali ed è consentita esclusivamente all’interno degli esercizi pubblici.
Per gli esercizi pubblici di sale giochi non è consentito il rilascio di autorizzazioni per occupazione suolo pubblico. Non è altresì consentito l’utilizzo di aree esterne, anche se private, per l’installazione dei giochi,
È fatto divieto per i titolari ·di sala giochi di pubblicizzare l’attività con insegne, cartelli o altro, utilizzando il termine “casinò”, slot machine o termini che richiamino i giochi d’azzardo.
Salvo che il fatto costituisca reato, le violazioni a quanto previsto dalla presente Ordinanza sono punite come segue:
A. mancato rispetto degli orari di apertura e/o chiusura della sala giochi: sanzione amministrativa da Euro 516,00 a Euro 3.098,00, ai sensi dell’art.9 del Tulps;
B. omessa esposizione del cartello orario: sanzione amministrativa da Euro 516,00 a Euro 3.098,00, ai sensi dell’art. 9 del Tulps;
C. mancata esposizione delle locandine/manifesti che indichino la pericolosità di assuefazione e abuso e alcuni numeri di pubblica utilità relativi alla problematica del gioco d’azzardo patologico: sanzione da Euro 25,00 a Euro 500,00, ai sensi dell’art.7 bis del d.lgs. 267/2000”.
Il Comune appellante contesta in primo luogo la pronuncia del Tar laddove essa ha ravvisato nell’impugnato provvedimento n. 6/2011 natura di ordinanza extra ordinem ai sensi dell’art. 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000; e laddove ha rilevato che quel potere d’ordinanza è stato esercitato in assenza dei necessari presupposti di contingibilità e urgenza, come indicato nella sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2011 (la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del citato art. 54, comma 4, del decreto legislativo n. 267/2000, come sostituito dall’art. 6 del decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92, nella parte in cui consentiva al Sindaco, quale ufficiale del Governo, di adottare provvedimenti assimilabili alle ordinanze extra ordinem anche fuori dai casi di contingibilità e urgenza).
L’appello afferma che quell’ordinanza n. 6/2011, proprio alla luce della suddetta sentenza della Corte costituzionale n. 115 del 2011, assumeva veste di provvedimento puntuale, a contenuto regolamentare; ed afferma che il provvedimento ha rispettato:
– il divieto, posto dall’art. 23 della Costituzione, di imporre prestazioni personali e patrimoniali soltanto in base alla legge;
– il combinato disposto degli artt. 86 e 110 del regio decreto 18 giugno 1931, n. 773 (testo unico delle leggi di pubblica sicurezza);
– il citato art. 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267/2001 (testo unico degli enti locali);
– l’art. 1, comma 70, della legge (c.d. “di stabilità 2011”) 13 dicembre 2010, n. 220 (art. 1, comma 70, citato: “Con decreto interdirigenziale del Ministero dell’economia e delle finanze – Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato e del Ministero della salute sono adottate, d’intesa con la Conferenza unificata, entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge, linee d’azione per la prevenzione, il contrasto e il recupero di fenomeni di ludopatìa conseguente a gioco compulsivo”).
L’appello espone diffusamente il quadro normativo inerente la ludopatìa e vigente alle date di riferimento, sottolineando le problematiche sociali derivanti dal fenomeno; ed afferma che l’ordinanza impugnata in primo grado, proprio in ragione di quanto previsto dai citati articoli 86 e 110 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza e dal più volte citato art. 50, comma 7, del testo unico degli enti locali, ha provveduto a coordinare e riorganizzare, sulla base degli indirizzi espressi dal Consiglio comunale e nell’ambito dei criteri indicati dalla Regione, “gli orari degli esercizi commerciali e dei pubblici esercizi e dei servizi pubblici” di cui al suddetto art. 50, comma 7, del decreto legislativo n. 267/2001.
L’appello altresì:
– rileva che dalla particolare ampiezza della nozione di “pubblico esercizio” contenuta nella disposizione del testo unico degli enti locali e in linea con gli indirizzi espressi sul punto dalla giurisprudenza amministrativa, deve ritenersi che rientrino nella predetta nozione anche le attività di intrattenimento da espletare all’interno del sale giochi; richiama la giurisprudenza comunitaria sulle ludodipendenze;
– afferma che l’ordinanza impugnata in primo grado trova la sua ragion d’essere nel citato art. 50, comma 7, del testo unico degli enti locali, oltre che nelle prerogative dell’autorità sindacale espressamente riconosciute dal testo unico delle leggi di pubblica sicurezza;
– richiama i principi generali in materia di conservazione dell’atto amministrativo, sottolineando che esso deve realizzare l’ideale dell’azione pubblica, rappresentato dalla buona amministrazione di cui all’art. 97 della Costituzione;
– afferma che è erroneo ricondurre l’ordinanza impugnata nell’alveo delle ordinanze contingibili e urgenti di cui all’art. 54 del testo unico degli enti locali, poiché l’ordinanza è stata emessa ai sensi del citato art. 50, comma 7, del suddetto testo unico;
– afferma che erroneamente le parti ricorrenti in primo grado hanno indicato come spettante alla potestà legislativa esclusiva statale la tutela dell’utenza sociale e dei minori, tutela cui l’appello afferma esser stato finalizzato l’atto impugnato in primo grado;
– afferma che l’atto impugnato si è preoccupato delle conseguenze sociali negative dell’offerta di giochi (anche soprattutto su fasce di consumatori psicologicamente più deboli), nonché dell’impatto sul territorio dell’afflusso ai detti giochi da parte degli utenti.
Queste argomentazioni non incidono sul rilievo, alla base della sentenza appellata, che con il provvedimento impugnato in primo grado il Sindaco ha esercitato, in assenza dei necessari presupposti di contingibilità ed urgenza, il potere d’ordinanza di cui all’art. 54, comma 4, del testo unico degli enti locali.
L’esercizio di un simile potere d’ordinanza extra ordinem – non consentito in assenza dei suddetti presupposti di contingibilità ed urgenza e senza indicazioni di termini di efficacia (come indicato dalla sentenza appellata, che ha correttamente rilevato in proposito la necessità che simili provvedimenti debbano essere circoscritti nel tempo e indicare un proprio limite temporale) – risulta dalla stessa motivazione del provvedimento, nel quale, tra l’altro:
– sono richiamati anche: il citato art. 54 del testo unico degli enti locali, relativo alle attribuzioni del Sindaco quale ufficiale del Governo (tra cui il potere di adottare i citati provvedimenti contingibili ed urgenti); il decreto-legge 23 maggio 2008, n. 92 (dedicato a “Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica”, e recante all’art. 6, comma 1, il nuovo testo del citato art. 54 del testo unico degli enti locali, in materia di attribuzioni del Sindaco quale ufficiale del Governo); il decreto del Ministero dell’interno 5 agosto 2008, avente come oggetto “Incolumità pubblica e sicurezza urbana: definizione e ambiti di applicazione” ed espressamente emanato, come indicato nell’art. 1 dello stesso decreto, ai fini di cui al citato art. 54 del decreto legislativo n. 267/2000 come sostituito dal citato art. 6 del decreto-legge n. 92/2008;
– si legge “Ritenuto necessario adottare apposita ordinanza sindacale per la contingibilità del fenomeno”.
Può condividersi – sulla scorta delle considerazioni della Corte costituzionale e della giurisprudenza amministrativa indicate nel precedente capo 1.1 – il rilievo d’appello secondo cui il citato art. 50, comma 7, del testo unico degli enti locali attribuisce al Comune ampio potere di disciplinare in via ordinaria a tutela di interessi della popolazione gli orari dei pubblici esercizi in senso lato. Ma le sopra indicate caratteristiche di contingibilità ed urgenza dell’ordinanza in contestazione ne escludono questa portata di normazione comunale ordinaria.
Appaiono perciò condivisibili, come ritenuto dal Tar, i rilievi di primo grado i quali denunciavano:
– la contraddittorietà del provvedimento impugnato il quale, pur essendo stato adottato sul presupposto dell’esistenza di una situazione di imminente pericolo (da cui il richiamo ai poteri straordinari di cui all’art. 54 del decreto legislativo n. 267/2000), introduce una disciplina a tempo indeterminato in materia di orari di apertura/chiusura delle sale giochi, utilizzando quindi lo strumento tipizzato di cui all’art. 50 del decreto legislativo n. 267/2000 per far fronte ad una situazione eccezionale;
– che nella concreta fattispecie non sussisteva una situazione di necessità e urgenza tale da giustificare il ricorso ai poteri di ordinanza extra ordinem di cui al succitato art. 54 del decreto legislativo n. 267/2000;
– che comunque illegittimamente l’ordinanza extra ordinem impugnata non prevedeva limiti temporali alla propria vigenza.
3. L’appello va dunque respinto.
Le caratteristiche della vicenda e il rigetto anche di alcuni rilievi della parte appellata inducono a compensare, analogamente a quanto disposto dal primo giudice, le spese del presente grado di giudizio.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione seconda), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Compensa tra le parti le spese del presente grado di giudizio.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa”.