Da dove viene il sistema gioco lecito? Riflessioni da As.tro su accuse al sistema gioco legale

 

(Jamma) “A sentire gli appellativi con cui vengono oggi descritti gli imprenditori del gioco legale e controllato sembra che gli apparecchi new slot (omogati – tassati – monitorati) provengano da “invasori venusiani” che in Italia abbiano installato il germe del vizio” . E’ quanto fa osservare l’associazione As.Tro in merito alle notizie recenti che “hanno fuorviato il dibattito sul sistema gioco lecito e distorto le prospettive attraverso le quali pensare ad un riordino dell’assetto normativo e regolamentare attraverso il quale consentire allo Stato di poter fruire di una industria produttiva, virtuosa, e (contrariamente a ciò che oggi si sostiene) utile ai Territori e alle cittadinanze”.

 

“Il gioco lecito italiano non nasce (ma al più si è sviluppato) per esigenze “di cassa”, non è stato varato pensando di svendere la dignità dei territori a fronte immediati introiti, né è stato corredato dalle consuete deroghe delle prerogative istituzionali solitamente necessarie per invogliare investimenti esteri cinici e prepotenti.

Il gioco lecito italiano è un sistema pubblico controllato dallo Stato che nasce per sconfiggere una criminalità arcigna e dinamica che possedeva il controllo di 800 mila congegni simil-videopoker piazzati ovunque senza regole, senza controllo, senza garanzie per l’utenza.

Nessuno pensava che un “business di Stato” gestito da “funzionari dell’Amministrazione Finanziaria”, severamente tassato sin dal suo start up, e soprattutto collocato in un contesto regolamentare analitico e complesso potesse trasformarsi in 9 anni in una industria. Ciò che ispirava diffidenza era la sua “presunta nascita da zero”, mentre, in realtà, le sue fondamenta macro economiche (ovvero il mercato di riferimento e la domanda di servizio) erano già “rodate” da quei 10 anni di videopoker anarchici che una norma ipocrita abilitava ad erogare buoni consumazione al bar ovvero “partite ri-giuocabili”.

Le esigenze di “cassa” e la parziale attenuazione dell’”orgoglio istituzionale” si sono affacciate solo successivamente, quando il sistema new slot già garantiva (checché ne dica la Corte dei Conti) 2 miliardi di euro l’anno di PREU, decine di migliaia di posti di lavori, migliaia di imprese e un progressivo abbattimento delle organizzazioni illegali dedite all’uso di apparecchi non convenzionali per il gioco d’azzardo non controllato e quindi illegale.

In questo momento storico particolare l’Italiano è stato “classificato” giocatore e quindi “tassato” per la sua propensione al superfluo, peraltro incrementata da un contesto generale di incentivazione ai consumi come medicina allo stress di tutti i giorni. E’ qui che “il sistema” diventa esecutore di una voracità erariale che deve supplire all’impossibilità di raccontare agli Italiani che il sistema previdenziale è al collasso, che la P.A. non può pagare le forniture, che le Banche non daranno più facili mutui per la casa o castelletti alle imprese (e che per giunta dovranno essere ri-capitalizzate con denaro pubblico), che i Comuni dovranno erogare i servizi locali con risorse sempre più esigue.

Il gioco lecito diventa, da sistema praticamente perfetto, un terreno di drenaggio di risorse e conseguentemente una entità che deve implementarsi sempre di più per soddisfarle: nessuno è padre delle leggi istitutive dei nuovi giochi che arricchiscono il portafoglio di prodotti pubblici gestiti dall’Amministrazione Finanziaria, ma a stragrande maggioranza parlamentare tutti i provvedimenti di aumento del prelievo erariale (e pedissequo ampliamento dell’offerta) si affermano nell’indifferenza generale di mass media e intellettuali.

La bad reputation del sistema gioco lecito inizia qui, a prescindere dalla ludopatia, che (neanche fosse un virus scappato da un laboratorio incidentato) scoppia esattamente dopo il varo delle sale VLT, sorte per finanziare la ricostruzione dell’Abruzzo (a cui purtroppo l’Erario si dimenticherà di riversare i proventi puntualmente incamerati dalle videolotterie).

Il gioco lecito, in buona sostanza, non ha il merito di aver dato ciò che gli veniva chiesto, bensì la responsabilità di aver fatto “momentaneamente” funzionare strategie politiche opinabili fondate sull’uso del “gioco” per creare dal “nulla” risorse pubbliche necessarie per coprire i disavanzi derivanti dalla mala gestio della cosa pubblica.

Solo la percezione di “correità” nei confronti di una politica non più amata può giustificare il clima che oggi circonda il sistema pubblico di gioco, fondato su un astio che alla gente viene facilmente proposto di incrementare col suggestivo argomento della “smodata ricchezza” del mondo del gioco. Se solo si pensa che negli ultimi 3 anni solo due articoli di giornale hanno velocemente spiegato la reale “fetta” residuale che gli operatori industriali possono incamerare a proprio ricavo di impresa, si può comprendere il livello di “dis-associazione mentale” che sostiene la campagna mediatica anti-gioco, e la sua strumentalità verso una forma di punizione verso una politica non più amata, alla quale, ora, si chiede quotidiana ammenda per il passato “biscazziere”.

Che il gioco lecito sia come la “domestica” a cui si danno le bastonate per i debiti non onorati dal suo vecchio datore di lavoro è evidente, ma è singolare che anche il “nuovo” padrone di casa, che continua a tenerla “a servizio”, la bastoni anch’egli in luogo di curarne le ferite, a costo di tenersi i pavimenti sporchi e la cena non pronta.

Rompere lo stallo che l’attuale “follia” ha ingenerato è possibile, basta decidere: o si licenzia la domestica, o le si consente di lavorare, spiegando ai nemici del suo vecchio padrone che non è sua la colpa per ciò che è accaduto”.