Per gli altri motivi del ricorso è stato nominato un Consulente Tecnico d’Ufficio che dovrà stabilire quali siano le porzioni del territorio comunale che si trovino a una distanza di oltre 500 metri
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Quarta) ha pronunciato sentenza sul ricorso di un concessionario del gioco pubblico, rappresentato e difeso dagli avvocati Matilde Tariciotti e Luca Giacobbe, contro l’Unione Comuni del Sorbara, la Regione Emilia Romagna, il Ministero dell’Interno e il Comune di Castelfranco Emilia per la riforma della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per l’Emilia Romagna sul distanziometro per i punti di raccolta del gioco pubblico.
Il Consiglio di Stato ha accolto il primo motivo di appello dichiarando illegittimo il provvedimento che stabiliva la decorrenza dei sei mesi per operare la delocalizzazione o per imporre la chiusura, nonostante lo stato di emergenza COVID. Per gli altri motivi è stato nominato un Consulente Tecnico d’Ufficio che dovrà stabilire quali siano le porzioni del territorio del comune di Castelfranco Emilia che si trovino a una distanza di oltre 500 metri.
Si legge nella sentenza:
“La società appellante ha impugnato la sentenza indicata in epigrafe che ha respinto il ricorso presentato avverso i provvedimenti assunti dall’Unione dei Comuni del Sorbara con i quali le è stata imposta la chiusura della sua sala scommesse, sita nel Comune di Castelfranco Emilia, perché ubicata a una distanza inferiore a 500 mt da uno dei luoghi sensibili indicati dalla normativa per il contrasto alla ludopatia (…). Dal momento che il provvedimento interveniva nel periodo dell’emergenza sanitaria che aveva imposto la chiusura delle attività delle sale in virtù dei vari D.P.C.M. e dei decreti legge emanati durante l’emergenza Covid, il Gestore della sala presentava una richiesta preordinata a ottenere una proroga di sei mesi, al fine di poter eventualmente procedere poi alla delocalizzazione dell’attività in altro locale. L’unione non rispondeva, ma con successiva nota del 5 agosto 2021 intimava la chiusura dell’attività essendo trascorsi anche i sei mesi, intesi come concessi, per provvedere alla delocalizzazione in un immobile lontano almeno 500 metri da ogni luogo sensibile.
La sentenza impugnata ha respinto il ricorso affermando in prima luogo che le censure relative ai principi costituzionali e al riparto di competenze Stato-Regioni, nonché alla sussidiarietà verticale, risultano manifestamente infondate e già definite dalla Corte costituzionale con le sentenze n. 108/2017 e 27/2019. Anche se l’individuazione dei giochi leciti e la disciplina delle modalità d’installazione e di utilizzo degli apparecchi da gioco rientrano nella competenza legislativa dello Stato in materia di ordine pubblico e sicurezza alla luce della finalità di prevenzione dei reati che esse perseguono, alle Regioni non è preclusa l’adozione di misure tese a inibire l’esercizio di sale da gioco e di attrazione ubicate al di sotto di una distanza minima da luoghi considerati “sensibili”, al fine di prevenire il fenomeno della ludopatia.
L’autorità comunale, facendo applicazione di tale normativa può inibire l’esercizio di una attività pure autorizzata dal Questore, senza che ciò implichi alcuna interferenza con le diverse valutazioni demandate all’autorità di pubblica sicurezza. Le ragioni di salute pubblica poste a fondamento della legge regionale che ha previsto la necessità di una distanza minima da certi luoghi sensibili non sono in contrasto con i valori tutelati dagli artt. 41 e 42 Cost., perché la normativa locale e regionale incide sulla pianificazione territoriale e non invade la materia di competenza dell’Agenzia delle dogane e dei monopoli o della Questura.
Sul piano di un eventuale indennizzo la sentenza precisa che la disciplina in esame è fuori del campo di applicazione dell’art. 21-quinquies l. 241/1990, poiché non revoca alcun provvedimento ampliativo. Infine, le sospensioni e le proroghe previste dall’art. 103 d. l. n. 18/2020 non si applicano ai provvedimenti impugnati perché non afferiscono a certificati, attestati, permessi, concessioni, autorizzazioni e atti abilitativi comunque denominati.
L’appello è articolato in cinque motivi.
- Il primo denuncia l’illegittimità di aver escluso che nella presente vicenda potesse trovare applicazione l’art. 103, comma 2, d.l. n. 18/2020.
La motivazione del T.A.R. sarebbe il frutto di una interpretazione e applicazione della norma del tutto formale. La norma, invece, mirava ad accordare una più estesa validità a tutti i titoli abilitativi necessari all’espletamento di qualsivoglia attività, la cui efficacia sarebbe potuta venir meno nel corso dell’emergenza sanitaria, a prescindere dal loro nomen iuris e dall’Autorità che li avesse eventualmente rilasciati. Lo scopo della norma era quello di impedire che maturasse qualsiasi tipo di scadenza nel periodo in cui quasi tutte le attività economiche erano paralizzate per effetto delle norme sanitarie per contrastare gli effetti della pandemia.
La mancata osservanza dell’art. 103 rendeva pertanto illegittimo il provvedimento del 21 febbraio 2021 laddove stabiliva la decorrenza dei sei mesi per operare la delocalizzazione o per imporre la chiusura, nonostante lo stato di emergenza.
- Il secondo motivo riguarda la valutazione sull’effettività della possibilità di delocalizzazione per rispettare la norma regionale.
Il mancato reperimento di una soluzione alternativa non è dipeso da uno scarso impegno dell’appellante: in costanza di pandemia e con le attività di gioco sospese da mesi, non è ragionevole ritenere che la società potesse compiere una consapevole valutazione circa la convenienza e utilità della delocalizzazione, ovvero che potesse effettuare tutte le attività prodromiche indispensabili, per non parlare delle risorse economiche indispensabili a procedere in tal senso. Peraltro, dal canto suo, l’Unione non ha individuato le aree disponibili per l’insediamento delle attività di gioco, né ha regolato compiutamente le ipotesi di sopravvenienza dei luoghi sensibili.
La sentenza, inoltre, ha espresso una valutazione superficiale quando ha affermato che esistono luoghi in Castelfranco Emilia per effettuare la delocalizzazione; la perizia di parte prodotta evidenzia come la quasi totalità del territorio comunale, dove vi potrebbe essere il rispetto della distanza dai luoghi sensibili, si trova in zone inidonee per l’apertura di una sala giochi, o perché si tratta di zone non popolate o perché esclusivamente residenziali e con scarsità di immobili a uso commerciale.
Viene infine contestata la tesi esposta nella sentenza circa l’inapplicabilità della Delibera di Giunta Regionale n. 68/2019 quanto alla possibilità di chiedere una proroga di sei mesi dopo i primi sei indicati dall’Amministrazione dopo l’individuazione delle imprese da delocalizzare all’esito della mappatura richiesta dalla delibera.
- Il terzo motivo ripropone le eccezioni di costituzionalità sulla legge regionale già illustrate in primo grado contestando le argomentazioni della sentenza che le ha ritenute già affrontate dalle due sentenze della Corte Costituzionale citate in motivazione.
- Il quarto motivo eccepisce che il T.A.R. non ha esaminato a fondo l’inconciliabilità della l.r. n. 5/2013 con l’art. 117, comma 1, in relazione all’art. 1, protocollo 1 della CEDU, e con l’art. 42 della Costituzione. Come d’altro canto non è stata apprezzata l’illegittimità dell’art. 6 l.r. 5/2013 rispetto all’art. 41 Cost..
- Il quinto motivo vuole evidenziare i profili di illegittimità delle delibere regionali 831/2017 e 68/2019. La D.G.R. n. 831 ha interpretato l’art. 6, comma 2bis, l.r. n. 5/2013 come se avesse efficacia retroattiva allorquando ha inteso precisare che il divieto si applica “alle sale giochi e sale scommesse in esercizio”, con ciò incorrendo non solo in una violazione di legge, ma anche nella violazione del principio del legittimo affidamento. Entrambe le D.G.R. hanno mancato di sollecitare i Comuni allo svolgimento di un’istruttoria coerente con criteri di pianificazione medio tempore concordati a livello statale come nell’art. 7, comma 10, d.lgs. 158/2012 che prevede: “L’Amministrazione autonoma dei monopoli di Stato provvede a pianificare forme di progressiva ricollocazione dei punti della rete fisica di raccolta del gioco praticato mediante gli apparecchi di cui all’articolo 110, comma 6, lettera a), del testo unico di cui al regio decreto n. 773 del 1931, e successive modificazioni, che risultano territorialmente prossimi agli istituti di istruzione primaria e secondaria, a strutture sanitarie e ospedaliere, a luoghi di culto, a centri socio-ricreativi e sportivi”; o come nell’Intesa sancita in sede di Conferenza Unificata Stato Regioni il 7 settembre 2017.
La Regione Emilia-Romagna e l’Unione Comuni del Sorbara si costituivano in giudizio chiedendo il rigetto dell’appello ed eccependo l’inammissibilità del primo motivo di appello perché la censura in primo grado era stata sollevata solo in sede di motivi aggiunti, mentre non era stata formulata in occasione dell’impugnazione del provvedimento del 27 gennaio 2021.
Il Collegio ritiene che vi siano le condizioni per decidere parzialmente l’appello affrontando il primo motivo di ricorso, mentre rispetto alle restanti censure sia necessario procedere ad una c.t.u. per verificare quale sia la situazione nel comune di Castelfranco Emilia ai fini di una possibile delocalizzazione.
L’eccezione di inammissibilità del primo motivo di ricorso formalizzata da entrambe le Amministrazioni appellate è infondata.
L’atto impugnato con il ricorso principale è un atto endoprocedimentale che annunciava il provvedimento di chiusura laddove non fosse stata operata la delocalizzazione e che è stato oggetto di gravame non per non incorrere in una decadenza, ma per preannunciare alle Amministrazioni che il provvedimento conclusivo del procedimento sarebbe stato impugnato, sperando in questo modo di indurre il titolare del potere di chiusura a rivedere la propria posizione in accoglimento di qualcuno degli argomenti utilizzati per fondare le censure proposte.
Non vi era, pertanto, alcuna necessità di sollevare immediatamente il problema della mancata applicazione dell’art. 103 anche perché, come ha illustrato la società nella memoria depositata in data 28 ottobre 2022, lo scopo della censura non era quello di lamentare una mancata sospensione del procedimento di chiusura della sala giochi, ma di affermare che, in costanza di pandemia, non potesse essere applicata, mediante l’ordine di chiusura, una “scadenza” alla sua attività.
Venendo al merito della doglianza, essa coglie nel segno proprio perché va intesa nel senso appena richiamato.
Lo scopo dell’art. 103, comma 2, d.l.18/2020 – in linea, peraltro, anche con il suo tenore letterale e, comunque, non incompatibilmente rispetto a esso – è quello di congelare qualunque termine venisse a scadere in un periodo in cui per l’emergenza pandemica le attività economiche erano ferme o comunque soggette a provvedimenti che ne limitavano notevolmente la portata, cosicché non poteva venire meno nessun titolo autorizzatorio finché vigeva lo stato di emergenza e anche dopo la cessazione di tale stato si assegnava un ulteriore termine di novanta giorni per dare corso alle ordinarie procedure amministrative.
Nel caso di specie, in applicazione dell’art 6 l.r. 5/2013, si era assegnato un termine, scaduto il quale si sarebbe avuto un effetto equivalente a quello che si poteva verificare per il mancato rinnovo di un’autorizzazione, che era decorso durante lo stato di emergenza quando la sala giochi era chiusa.
In sostanza non poteva intimarsi la delocalizzazione entro un termine a pena di chiusura alla sala giochi che si trovava a meno di 500 metri da una chiesa durante lo stato di pandemia con l’attività ferma e, quindi, nella momentanea impossibilità di correre il rischio di favorire la ludopatia.
La riconducibilità anche della vicenda in esame nel campo di applicazione della norma evidenzia la sua ragionevolezza laddove si pensi all’estrema difficoltà di muoversi sul mercato alla ricerca di una nuova sede che rispetti le distanze, in un periodo in cui la maggior parte delle attività sono chiuse e la valutazione delle prospettive economiche era aleatoria, anche perché non si era in grado di stabilire quando lo stato di emergenza sarebbe cessato.
Infine va considerato un ultimo argomento speso dalle Amministrazioni per giustificare la mancata applicazione della sospensione all’intimazione di chiusura preannunciata con la nota del 27 gennaio 2021 e attuata con il provvedimento de 5 agosto 2021: il provvedimento non incide sui titoli abilitativi posseduti dall’operatore di gioco, che mantengono la loro validità ed efficacia anche dopo il provvedimento di chiusura impugnato. Al di là del fatto che tale circostanza non risponde neanche alla realtà, poiché, dopo la sentenza del T.a.r., l’autorizzazione ex art. 88 T.u.l.p.s. è stata revocata dalla Questura, quello che conta è che si è verificato un effetto paralizzante identico a quello che sarebbe stato determinato dalla revoca della concessione dell’Agenzia delle Dogane e dei Monopoli o di quella dell’autorizzazione di polizia.
Il primo motivo di appello risulta pertanto fondato e va perciò accolto.
In relazione agli altri motivi di appello, che non risultano assorbiti dall’accoglimento del prefato primo motivo, il Collegio ritiene che sia preliminare accertare la situazione di fatto in cui versa il comune di Castelfranco Emilia: cioè è necessario verificare quali sono le parti del territorio verso cui sia possibile, in astratto, effettuare la delocalizzazione, per poi valutare la concreta possibilità (anche commerciale) di installarvi una sala giochi, tenendo conto anche delle limitazioni che dovessero derivare dallo strumento urbanistico.
Pertanto si dà corso ad una c.t.u., e per l’effetto, ai sensi dell’art. 67 cod. proc. amm., si dispone quanto segue:
è nominato c.t.u. il geom. (…) di Livorno;
i quesiti a cui il c.t.u. dovrà rispondere sono i seguenti:
“Dica il c.t.u. quali siano le porzioni del territorio del comune di Castelfranco Emilia che si trovino a una distanza di oltre 500 metri, calcolati secondo il percorso pedonale più breve, dagli istituti scolastici di ogni ordine e grado, dai luoghi di culto, dagli impianti sportivi, dalle strutture residenziali o semiresidenziali operanti in ambito sanitario o sociosanitario, dalle strutture ricettive per categorie protette, dai luoghi di aggregazione giovanile e dagli oratori;
dopo aver individuato le aree con tali caratteristiche, le descriva sul piano urbanistico per verificare se tra le destinazioni d’uso consentite via sia anche l’apertura di una sala giochi;
esprima, infine, le proprie valutazioni, quanto alle aree che residuino dopo le verifiche di cui ai punti precedenti, sulla concreta possibilità di individuare degli immobili per potervi insediare l’attività, nonché sulla effettiva possibilità (anche in considerazione della potenziale redditività commerciale dell’ubicazione in tali aree) di svolgere l’attività di sala giochi conseguendo un ragionevole utile d’impresa.”
(…) Le operazioni peritali inizieranno dopo il versamento dell’anticipo e condizionatamente a esso.
L’udienza per l’ulteriore trattazione sarà fissata dal presidente della Sezione immediatamente dopo il deposito della relazione finale del c.t.u..
È riservata al definitivo ogni ulteriore decisione in rito, in merito e sulle spese; la prossima udienza sarà fissata con decreto presidenziale dopo il deposito della relazione peritale”.