Venezia. Il sindacato Usb dice no alla cessione del casinò ai privati

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Casinò di Venezia: il sindaco Orsoni propone ai sindacati di partecipare alla scelta del nuovo gestore

 

(Jamma) Il sindacato di base Usb dice «no» alla vendita e alla consultazione proposta dal Comune per passare in mano ai privati il Casinò di Venezia. «La persistente intenzione del sindaco Orsoni di procedere con l’operazione di cessione ventennale della gestione ai privati del Casinò di Venezia con l’intenzione di incassare 350 milioni di euro», sostiene Gianpietro Antonini dell’Usb veneziana, «è un’operazione che, alla lunga, per il solo fine di fare cassa rischia di ripetere in termini molto più disastrosi quello che è accaduto con la cessione delle quote di Save in capo al Comune di Venezia cioè dismissione di un gioiello che produce utili per la metà del valore di quanto a distanza di qualche mese valgano realmente queste quote».

Usb ribadisce quindi la sua «contrarietà alla cessione ventennale a privati del Casinò di Venezia e quindi per quel che la riguarda respinge anche la sola ipotesi di essere coinvolta in una presunta consultazione nella scelta del nuovo ipotetico gestore: sarebbe come accettare la concessione magnanima del nostro “Doge” di indicare con quale corda impiccare la città». Infine, l’Usb veneziana «coglie l’occasione per osservare come i dati asettici forniti sull’andamento del Casinò di Venezia per il primo semestre 2013 indichino un calo del 7,6 % rispetto al primo semestre del 2012 senza però che il direttore generale del Casinò, Vittorio Ravà, faccia presente che questo dato è ben peggiore se si prende in considerazione il fatto che nel primo semestre del 2012 ci sono stati ben 15 giorni di sciopero che a detta dello stesso hanno comportato una riduzione di incassi di circa 5 milioni; inoltre rispetto alla flessione degli incassi a Ca’ Noghera osserviamo che il gioco delle slot ha segnato un -22%, il peggior dato di tutte e quattro case di gioco d’Italia. Una performance assolutamente negativa, non spiegabile con l’argomentazione dell’eccessiovo costo del lavoro».

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